Cosa ti ha spinta a intraprendere la tua professione?
Ho sempre nutrito un interesse nei confronti del cinema e del teatro, e ho sempre avuto un’inclinazione per la scrittura. Ma il mio percorso non è stato chiaro sin da subito. Soprattutto nell’ambito creativo, che coinvolge la sfera emotiva e intima, è importante capire chi sei per poter capire quale potrebbe essere la tua strada. Per me è stato un processo molto lento e doloroso nel quale la pratica buddista mi ha aiutato tantissimo. Ho sempre avuto poca fiducia in me stessa, sognavo in grande ma desideravo in piccolo. Avevo delle capacità ma non sapevo se il mondo le avrebbe capite o accolte. Avevo dentro di me una voce che mi ripeteva che c’era sempre qualcuno più bravo di me, più pronto di me, più fortunato di me e che non sarei mai riuscita a realizzare i miei sogni. Questa voce mi ha accompagnata tutta la vita: è una forza opposta e contraria alla passione, che ti sabota e ha a che fare con l’ego, con il “piccolo io”. L’ho chiamata Mimma, e ne ho fatto anche un monologo per la tv…
E come affronti “Mimma”?
Non so se Mimma se ne andrà mai… ma nel tempo è diventata una presenza amica per me, è il “tunnel che ho arredato”, adesso ci parlo perché la riconosco subito. Ho capito che sono più grande di lei. Mimma cerca sempre di scoraggiarmi, ma il Daimoku dentro di me ha creato tanto spazio e lei è solo una delle tante voci che adesso sono presenti nel mio cuore, molte delle quali positive e incoraggianti, che oggi ascolto di più. Bisogna "pulire" il desiderio dal piccolo io: quando sento di avere un’intenzione “pulita”, il lavoro e il successo non riguardano più solo me stessa, ma anche le altre persone. Quando ho paura di sbagliare, di non essere abbastanza, cerco di ricordarmi che il mio lavoro è un dono che faccio agli altri, una gioia da condividere. Allora lo spettacolo (o il film, o il testo) diventa un momento in cui c’è uno scambio, una forma di empatia. Per molti anni ho avuto attacchi di panico e non riuscivo a salire sul palcoscenico. Ero incatenata dalla paura di essere giudicata. Sempre il piccolo io! Quando ci liberiamo da questa paura, entriamo in contatto con noi stessi e con gli altri.
Qual è la tua sfida più grande nell’affrontare il tuo lavoro? C’è un’esperienza particolare in cui senti che praticare il Buddismo ha fatto la differenza?
La pratica buddista ha rivoluzionato completamente la mia vita. Il coraggio delle idee è qualcosa che ho sempre avuto (ho sempre parlato, nel mio lavoro, di temi importanti: di maternità surrogata, del ruolo della donna, dei social network, del corpo) ma nel corso di questi venticinque anni di pratica buddista ho sviluppato anche il coraggio delle azioni. In questo senso ho fatto una grande esperienza verso i trent’anni, quando lavoravo in una casa discografica ma avevo iniziato a fare cabaret ed ero divisa in due. Iniziai a praticare su consiglio di un'amica, ma avevo così poca costanza e coerenza che ero sicura che avrei smesso in poco tempo. Intanto diversi provini tv stavano dando ottimi esiti, ma avendo un contratto a tempo indeterminato, non sapevo cosa fare, perché avevo paura di lasciare un posto fisso. Una compagna di fede mi consigliò di sfidarmi a recitare Daimoku e Gongyo con costanza mattina e sera, e grazie a questo presi la mia decisione: mi sarei licenziata per realizzare il mio sogno, ed ebbi un incredibile beneficio: poco prima di dare la lettera di dimissioni fui mandata via per una manovra aziendale con una buonuscita in denaro che equivaleva a sei volte la liquidazione su cui avevo fatto conto. Soldi con cui in seguito ho potuto finire gli studi universitari che avevo interrotto e laurearmi, già grande. Ma ciò di cui sono più felice è di avere imparato la costanza e non aver mai mollato. La più grande sfida è stata quella di credere in me stessa, nonostante Mimma, e di investire su di me. Recitare Daimoku mi ha aiutata a cogliere le occasioni e a proteggermi rispettando la mia vita, perché il mondo dell’intrattenimento è ancora, purtroppo, un mondo pieno di insidie...
C’è una frase del Gosho o del maestro Ikeda a cui sei particolarmente legata?
«Una donna che fa offerte a questo Gohonzon attira la felicità in questa vita, e nella prossima il Gohonzon sarà con lei e la proteggerà da ogni lato, a destra e a sinistra, davanti e dietro. Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti circonderà e ti proteggerà, signora Nichinyo, dovunque tu vada» (RSND, 1, 738)
Questo incoraggiamento di Nichiren è stato fondamentale perché nelle situazioni più difficili mi sono sempre sentita protetta e mai sola. Negli ultimi undici anni mi sono dedicata alla regia: dirigo commedie. Un lavoro, che è sempre stato appannaggio del maschile, in cui ho osservato e vissuto una forte disuguaglianza di genere. Da una parte ho avuto grandi privilegi, essendo una delle prime donne a lavorare in questo ambito (quasi nessuna della mia generazione!) ma ho poi sperimentato un forte senso di ingiustizia e solitudine: c’è una forma mentis che non permette alle donne di avvicinarsi alla commedia, come se non fosse un posto adatto al genere femminile. Io faccio parte di quella generazione che ha iniziato a sollevare la questione di genere nel cinema e che ha posto le basi affinché le cose cambiassero. Penso che sia importante che le donne entrino in scena in ogni campo, perché sono state troppo spesso oggetto di analisi ma quasi mai soggetto. E il nostro punto di vista è nuovo e prezioso!
C’è un messaggio che vorresti trasmettere a coloro che vogliono affacciarsi al mondo dello spettacolo?
Quello che mi viene da dire è che da giovani è lecito essere confusi, essere fragili, non sapere cosa si vuole o cosa è giusto per noi. Noi tendiamo a guardare dentro un buchetto, a pensare che ciò che possiamo realizzare sia tutto racchiuso lì dentro, ma il Daimoku ci permette di ampliare lo sguardo. Il nostro karma ci fa pensare di avere una forma determinata, ma non è così: siamo molto di più e abbiamo molte più forme di quelle che pensiamo. Io, per esempio, che avevo iniziato a fare cabaret interrompendo gli studi universitari, non avrei mai immaginato di diventare una regista. Ma in ogni momento mi sono impegnata a dare il massimo, lì dov’ero e nella circostanza in cui mi trovavo, come ci ha sempre incoraggiati a fare il maestro Ikeda e la strada è cresciuta con me, insieme ai miei desideri. Con la pratica scopriamo che ciò che siamo ha un grande valore e che ogni aspetto di noi può essere indirizzato per realizzare la nostra missione. Così come siamo.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Desidero restare sempre giovane nel cuore come ci insegna Sensei.
