Ci può parlare dell’attività della vostra società e del metodo che utilizzate per effettuare i vostri sondaggi? In che misura costituiscono uno strumento utile per comprendere la società in cui viviamo? Possiamo considerarli effettivamente lo specchio del nostro Paese?

SWG è un Istituto di ricerca che opera da oltre quarant’anni in questo settore, in un contesto che si sta rilevando sempre più complesso. Oggi, infatti, basta aprire internet per avere a disposizione numeri su qualsiasi fenomeno, e questo rende il nostro lavoro più difficile rispetto a prima, perché in questa sovrabbondanza i numeri si contraddicono l'uno con l'altro e quella che rischia di perdersi è la verità. Per comprendere l’affidabilità di un numero oggi bisogna stare molto attenti a chi ha prodotto le statistiche, e come, a quanta trasparenza c'è nel processo di produzione. SWG dispone di un panel di oltre 60.000 persone che rispondono ai questionari, ha una propria struttura di ricerca e questo permette di avere un controllo completo di tutte le attività, dalla formulazione delle domande alla raccolta del dato, alla sua analisi e interpretazione. Questa continuità è un aspetto importante perché solo così si può garantire un'effettiva qualità del dato raccolto. Una grande attenzione va posta anche a come vengono costruiti i campioni. In questo caso non è solo una questione di quantità – intervistare molte persone non è sempre sinonimo di qualità del campione – ma di come vengono selezionati gli intervistati, e sempre nella consapevolezza che questo tipo di indagini porta inevitabilmente con sé una certa percentuale di errore non eliminabile. Questo ci porta a un altro elemento di grande importanza, che è l'attenzione al questionario: bisogna formulare domande chiare, che siano ben comprensibili per le persone. È ciò che abbiamo fatto per l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Abbiamo costruito un questionario che nasce dalla nostra esperienza e anche naturalmente dalle esigenze della Soka Gakkai, e abbiamo messo insieme un set di domande che volevano raccontarci da una parte il rapporto che hanno oggi gli italiani con tutto ciò che è sacro, quindi con la religione in senso lato. Dall'altra la conoscenza che hanno del Buddismo, e in particolare dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, con un passaggio anche sull'Otto per Mille. Per l'indagine demoscopica abbiamo intervistato duemila persone, tra i 18 e i 74 anni, residenti in Italia e rappresentative della popolazione italiana in questa fascia d’età. A questa si è aggiunta un'ulteriore indagine di tipo qualitativo, con una dozzina di esperti, giornalisti, studiosi, responsabili di grandi organizzazioni, per avere una lettura da parte di una serie di persone qualificate, quelli che si definiscono gli stakeholder, per capire che opinione hanno della Soka Gakkai. Questa è la premessa metodologica che ci permette di affermare che quando comunichiamo i nostri risultati siamo tranquilli che i numeri sono veritieri, anche se si tratta di una scienza imperfetta, per cui tutti i dati che sono prodotti su statistiche di questo tipo devono essere interpretati con un certo “intervallo di confidenza”.
Come lei ci spiegava, il sondaggio che avete realizzato è sia quantitativo sia qualitativo. Partiamo da quello quantitativo: può darci un'indicazione sul rapporto degli italiani con la fede, con la spiritualità in generale, che quadro emerge dalle risposte che avete raccolto?
Abbiamo chiesto agli italiani quanto contino nella loro vita una serie di valori. Dalle risposte emerge che sono poche le cose ritenute veramente importanti. In particolare c'è un dato che colpisce: la fede e la preghiera sono le due voci che hanno riscosso meno interesse, cioè la percentuale di italiani che ritengono che la fede sia in qualche modo importante per la loro vita è il 44%. E coloro che la ritengono uno dei valori più importanti sono solo il 16%. Sono dati veramente modesti, che ci raccontano anche dell'evoluzione di un Paese, di una cultura. Questo è un fenomeno non solo italiano ma internazionale, che mostra da un lato una riduzione generalizzata dell'importanza data alle religioni, ma dall'altro anche una forte polarizzazione: a credere in una qualche religione sono meno persone, ma chi ci crede oggi ci crede con molta più convinzione che in passato. E questo è anche un fattore alla base di alcune polarizzazioni che osserviamo e di alcuni estremismi. Diciamo che negli ultimi anni un po’ tutte le religioni hanno perso quella platea di persone che seguiva i riti e le indicazioni in maniera superficiale, che frequentava saltuariamente, per abitudine. Quando il Covid ha chiuso tutto il Paese per mesi e ha cancellato le abitudini, tutta una serie di persone si sono scoperte a dire “in fondo questa cosa non mi manca”. E se non mi manca, allora non è importante. Tutto questo in un certo senso ha fatto un po’ di pulizia – passatemi il termine – anche rispetto alle statistiche, ha permesso di avere dei dati più veritieri rispetto al numero di persone che hanno un reale interesse rispetto a questi temi.
Ci sono altri dati particolarmente significativi?
Un altro dato molto significativo è questo: abbiamo domandato se le persone intervistate abbracciassero qualche tipo di religione o di credo filosofico: ebbene il 37% ha dichiarato di non avere alcun tipo di credo filosofico. Il 63% ha dichiarato qualche tipo di credo religioso, ma solo il 41% ha dichiarato di sentirsi appartenente alla religione cattolica. Questo numero, molto basso rispetto a qualche decennio fa, ci racconta dell’affermarsi di nuovi modelli religiosi che sono in forte evoluzione. Le persone sono sempre meno disponibili a far parte di una struttura forte che le condiziona in molti aspetti della vita – perché la religione per molti decenni è stato questo, una struttura di riferimento che ti forniva i valori, una morale, ti dava anche degli spazi fisici da abitare, e in cui realizzarti, dei modelli di vita e anche delle occasioni di lavoro, era un’istituzione che ti permetteva di vivere “dalla culla alla bara”, come si diceva un tempo. Oggi le persone non accettano più volentieri questo tipo di appartenenza. Non è tanto il tema della secolarizzazione, di cui si parla tanto a proposito delle religioni, ma si tratta di un modello di destrutturazione delle nostre vite molto più ampio. In una vita “destrutturata” le religioni faticano a trovare posto, soprattutto laddove si presentano come religioni tradizionali, rigide, istituzionalizzate, con una lista formale di doveri che richiedono una partecipazione, un’appartenenza di gruppo. È un fenomeno che si osserva da tempo. Nell'indagine che abbiamo effettuato, tra coloro che affermano di avere un’appartenenza religiosa poco più del 40% dichiara di assistere a una funzione della propria religione almeno una volta al mese. Quindi il fatto di “credere” è sempre più slegato dal seguire i precetti (come ad esempio andare a messa ogni settimana). E questo è un altro dato interessante, perché ci mostra un fenomeno che gli studiosi del settore chiamano di "bricolage religioso", per cui si prende un aspetto della religione cattolica che convince, un aspetto new age che attrae, e alla fine si va a costruire una sorta di religione “fai da te” che è fuori dai canali tradizionali e fatica anche ad essere intercettata.
Nella ricerca ci sono delle domande sulla funzione sociale delle religioni. Cosa emerge dalle risposte?
Ci sono due elementi quasi antitetici che sono importanti ai nostri fini. Il primo è questo: il 62% degli italiani afferma che le religioni possono contribuire al benessere di una società. Già il fatto che il 40% non ci creda, è un dato importante. Allo stesso tempo, per il 60% le religioni hanno solo portato problemi e divisioni, e questo porta ancora una volta a diminuire la rilevanza stessa delle religioni. Dopodiché abbiamo posto altre due domande in parte in contrapposizione. La prima diceva: le religioni sono tutte uguali? E qua abbiamo una risposta molto secca, perché il 70% dice no, non è così. Ma poi alla domanda se esista un'unica “vera” religione? Solo il 26% risponde di sì. Quindi, se consideriamo che abbiamo un 41% di cattolici, questo vuol dire ad esempio che un cattolico su due non considera la sua come l’unica vera religione esistente. Quindi l’appartenenza religiosa, oggi, è sempre più pervasa da dubbi e meno monolitica che in passato, tanto che emerge una grande sfiducia di fondo. Abbiamo chiesto di esprimere la propria fiducia verso una serie di religioni, in una scala che va da 1 (nessuna fiducia) a 10: ebbene la Chiesa cattolica porta a casa, in media, 5.3 punti, il Buddismo 4.8, l'Induismo 4.1, l'Ebraismo 3.9, l'Islam 3.0: c’è veramente una grande sfiducia generalizzata. Se poi andiamo a vedere il dato dei giovani nella fascia da 18 a 34 anni, il grado medio di fiducia nella Chiesa cattolica è 4.3, lo stesso che si ha nel Buddismo, l’Induismo 3.8, l’Ebraismo 3.5, l’Islam sempre 3. E qui si affaccia un altro tema, che è quello generazionale. Ovviamente gli over 55 che sono cresciuti in una società strutturalmente diversa, in cui ad esempio si passava il tempo negli oratori perché c'erano poche altre opportunità, hanno un’opinione delle religioni molto diversa dai giovani che sono nati e cresciuti nella società digitale, molto più polverizzata, atomizzata.
Cosa pensano gli italiani riguardo alla funzione sociale della religione, rispetto a temi come la pace, i migranti, l'ambiente: emerge qualche dato interessante?
Abbiamo chiesto quali delle varie religioni siano più affidabili secondo gli italiani rispetto a temi come ad esempio il contrasto alla povertà, il disarmo nucleare, la pace tra i popoli, le iniziative culturali, l'accoglienza verso i migranti, l'ambiente, i giovani ecc. Questo aspetto è importante perché sposta l'attenzione dalla religione come struttura alla religione come azione, quindi alla capacità di una religione di realizzare delle cose. Qui osserviamo che la Chiesa cattolica recupera molto, perché le azioni della Chiesa cattolica sono molto evidenti. Ma anche le organizzazioni buddiste sono riconosciute come tra le più affidabili.
Quindi c'è un riconoscimento delle azioni intraprese come organizzazione buddista in questi ambiti?
Esattamente. Quando poi si arriva al tema della capacità di una religione di aiutare le persone a condurre stili di vita salutari, l'affidabilità delle organizzazioni buddiste è praticamente identica a quella della Chiesa cattolica. Questo dato in particolare, cioè che 1 italiano su 4 ritenga che le organizzazioni buddiste siano un soggetto affidabile per aiutare le persone a condurre stili di vita salutari, è un elemento molto importante.
Perché?
Perché oggi la religione è vissuta sempre meno come un rapporto con l'aldilà, con il trascendente, e sempre più come un qualcosa che possa aiutare nel qui e ora. Aiutare a vivere bene, in armonia, a stare bene nella propria vita. E questo è sicuramente uno degli aspetti chiave che ci spiega l'interesse verso le organizzazioni buddiste che sono riconosciute come soggetti in grado di aiutare concretamente le persone in un cammino verso la felicità. Un altro dato da sottolineare è che i valori fondanti del Buddismo della Soka Gakkai sono essenzialmente riconosciuti e valutati positivamente dalla maggioranza degli italiani. Infatti quando si chiede: quanto ti riconosci nel rispetto per la dignità di ogni forma di vita? Il 54% degli italiani afferma di ritrovarcisi completamente; un 26% ci si ritrova parzialmente, e solo un 19% risponde di non ritrovarsi affatto in questa affermazione. L'impegno per la pace, la non violenza, l'impegno verso il disarmo nucleare, sono tutti valori che intercettano una parte importante della popolazione, che li sente come dei valori importanti.
Una sezione del sondaggio riguarda l'Otto per Mille.
Riguardo all'Otto per Mille è evidente che la scelta non è solo legata a un'abitudine, a un'appartenenza, ma anche molto alla capacità che le varie organizzazioni religiose hanno di raccontare come utilizzano quel denaro. Un elemento chiaro che mi sembra interessante condividere, e che peraltro si lega alla ricerca qualitativa, è l'ammirazione per la capacità dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai di collaborare a iniziative e progetti. La cosa che colpisce non è solo la disponibilità a partecipare, ma l'atteggiamento con cui la Soka Gakkai partecipa, senza pretendere di avere per questo un ruolo, una visibilità che va magari a soverchiare quelli di qualcun altro. Questo è un elemento che ha colpito molto i nostri intervistati, che hanno sottolineato un po' tutti questa attenzione della Soka Gakkai, questa apertura a supportare le iniziative che rispondono ai propri valori, al proprio modo di essere, e allo stesso tempo l’atteggiamento di grande rispetto con cui viene condotta questa operazione.
Quali aspetti si evidenziano nell’indagine qualitativa?
Dall’indagine qualitativa emerge che la Soka Gakkai colpisce soprattutto per la sua natura laica: una caratteristica rara nel panorama religioso, che però non significa perdita d’identità, anzi. È una laicità che si fonda su una forte pratica quotidiana e su una partecipazione attiva. A questo si uniscono l’impegno sociale, il pacifismo, una grande capacità organizzativa e la percezione di un movimento in crescita, in controtendenza rispetto ad altri. Questo è reso possibile anche dalla trasparenza di figure pubbliche che aderiscono senza fanatismo e dalla possibilità per ciascuno di costruire un rapporto personale con la Soka Gakkai, dal semplice partecipare a eventi fino a una scelta di vita profonda.
Fondata a Trieste nel 1981, SWG è una delle principali società italiane di ricerche di mercato, sondaggi politici e analisi sociali. Nota per i suoi studi settimanali sull’orientamento politico degli italiani, trasmessi anche nei principali talk show televisivi, SWG si distingue per un approccio rigoroso e metodologico basato su sondaggi demoscopici, analisi dei trend e ascolto sociale. L’istituto affianca istituzioni, media, aziende e pubbliche amministrazioni nella comprensione dei mutamenti dell’opinione pubblica, offrendo strumenti di analisi e consulenza strategica. Da oltre quarant’anni, SWG rappresenta un punto di riferimento nel panorama delle ricerche italiane.