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11 ottobre 2023

Trovare soluzioni per proteggere i diritti umani

8x1000

Abbiamo intervistato alcune delle persone più direttamente coinvolte nella realizzazione della mostra “La memoria degli oggetti”, allestita presso il Memoriale della Shoah di Milano e finanziata grazie ai fondi 8x1000 dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. La mostra ha l’obiettivo di creare occasioni di dialogo e di mantenere viva la memoria dei naufraghi del 3 ottobre 2013 attraverso gli oggetti personali e le fotografie recuperati dopo il naufragio.

immagine di copertina

Presidente Associazione Carta di Roma, Valerio Cataldi

Com’è nata l’Associazione Carta di Roma e con quale intento?

La Carta di Roma è un codice deontologico scritto nel 2011, adottato dall’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione della Stampa Italiana. È un decalogo per aiutare a trovare le parole giuste per parlare di immigrazione, di rifugiati e richiedenti asilo. Perché le parole danno forma alle cose e possono stravolgere la realtà dei fatti. La percezione che i cittadini hanno di eventi come le migrazioni è calibrata dalle parole che ascoltano in televisione o leggono sui giornali.
Il nostro obiettivo è quello di aiutare i giornalisti a capire l’importanza delle parole per raccontare un fenomeno che è molto complesso, ed essendo il codice della Carta vincolante, supportarli nell’uso di parole giuridicamente appropriate.

In base alla sua esperienza di giornalista e comunicatore, che cosa manca ancora per riuscire a dar voce ai richiedenti asilo, ai rifugiati, alle minoranze e ai loro diritti?

Nel racconto giornalistico non troviamo la migrazione, la fuga delle persone che scappano dalla guerra, dalla fame o da eventi climatici avversi… spesso manca la voce di queste persone. Sostanzialmente accade che parliamo tra di noi, non ci fermiamo a capire le ragioni della fuga o le difficoltà del viaggio, gli obiettivi e la destinazione che ognuno di loro si prefigge.
Annualmente facciamo un rapporto che racconta lo stato dell’informazione e ogni anno rileviamo che solo il 7% dell’informazione globale su questo tema è affidata alle parole dei protagonisti.
Nella narrazione giornalistica sul tema, se non ci si ferma ad ascoltare i protagonisti, il rischio è di parlare solo tra noi, focalizzarci troppo sulla nostra visione che è influenzata da aspettative e paure.
Il contributo dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è stato centrale per la creazione di una mostra, organizzata all’interno del Memoriale della Shoah di Milano, un luogo molto significativo, che espone gli oggetti appartenuti ai naufraghi di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Una tragedia in cui hanno perso la vita 368 persone che ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sui naufragi nel Mar Mediterraneo. Sin dall’inizio con l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è stato fondamentale avere uno scambio e un arricchimento continuo rispetto ai contenuti di ciò che voleva essere il messaggio che volevamo lanciare insieme con l’occasione della mostra.

Presidente Associazione Culturale Zona, Giulia Tornari

Il 26 settembre è stata inaugurata la mostra commemorativa degli oggetti appartenuti ai naufraghi del 3 ottobre 2013 presso il Memoriale della Shoah di Milano. Come nasce e quali obiettivi ha?

L’idea della mostra nasce una sera a Roma, quando ci siamo incontrati davanti a una birra con Valerio Cataldi. Mi ha raccontato che aveva degli oggetti appartenuti ai naufraghi di Lampedusa del 3 ottobre 2013, e che li utilizzava per sensibilizzare le scuole riguardo alla tragedia dei naufragi nel Mar Mediterraneo.
A breve sarebbe ricorso il decimo anniversario da quel 3 ottobre, e ci siamo trovati d’accordo sul fare qualcosa. Valerio si era confrontato anche con Vera Vigevani, che ha avuto l’idea di organizzare una mostra al Memoriale della Shoah di Milano. Lei è sopravvissuta all’Olocausto ed è una delle fondatrici delle Madri di Plaza de Mayo, perché ha perso una figlia durante la dittatura in Argentina. Una donna con un passato così tragico ha avuto l’intuizione di collegare un luogo come il Memoriale alla tragedia odierna dei migranti.
Divenne chiaro che l’obiettivo condiviso era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso gli oggetti, che hanno un grande potenziale, perché sono oggetti che potrebbero appartenere a noi, come anelli, catenine, quaderni, passaporti, ecc.
Mi occupo di fotografia e ho pensato che sarebbe stato importante documentare gli oggetti per creare un archivio visivo.
Per realizzare le fotografie ho coinvolto Karim El Maktafi, fotografo italo-marocchino che nei suoi lavori si è occupato a lungo del tema della migrazione, legato alla sua storia. Avevamo da tempo pensato di fare qualcosa insieme e questo mi sembrava il progetto ideale. Vedendo le sue fotografie si capisce il tipo di sensibilità e di approccio che Karim ha avuto rispetto al tema, molto difficile da trattare.
Oltre all’esposizione degli oggetti di Lampedusa abbiamo deciso di rappresentare anche i soccorritori, coloro che hanno dato la loro disponibilità e il loro tempo per salvare queste persone.
La fotografia può essere veicolata in tante vie digitali ed è uno strumento, un mezzo per portare maggiore attenzione su questi oggetti che sono corpi di reato.
Alla mostra sono fruibili dei video con le testimonianze e la ricostruzione storica degli eventi del naufragio del 3 ottobre.Ovviamente questo è un primo capitolo, noi continueremo il progetto con la speranza di ampliare con altri contributi.

Testimonianza di Adal Neguse, rifugiato eritreo

La mostra La memoria degli oggetti significa molto per me perché ho perso mio fratello in questa tragedia dieci anni fa.
Quando parliamo di questi eventi tragici, parliamo spesso di numeri… 300 o 400 morti.
Ciò che la mostra trasmette ai visitatori è una prospettiva diversa, vedere gli oggetti che le vittime avevano con loro al momento del naufragio ci avvicina al fatto che anche loro erano esseri umani come noi.
Vorrei incoraggiare i giovani a trovare delle soluzioni per proteggere i diritti umani. È molto importante affrontare questo tema oggi, perché il mondo è pieno di miseria, ci sono molte persone rifugiate; è responsabilità di tutti fare la propria parte per renderlo un posto migliore in cui vivere.
Vorrei incoraggiare i giovani a trovare il coraggio di uscire e combattere una “buona battaglia”, ad avere un impatto positivo sull’atteggiamento delle altre persone.
Forse qualcuno può pensare che la propria voce non sia così importante o che non può fare niente se è da solo. Ma ricordiamoci sempre che non siamo soli, siamo in tanti a lottare. E se aggiungiamo anche la nostra voce, diventiamo ancora più forti. Non siete soli! Uscite e combattete!

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