Il maestro Daisaku Ikeda ha spesso affermato che la musica è un linguaggio universale, in grado di trascendere tutti i confini e di riportare le persone all'essenza della propria comune umanità. La musica è in grado di unire i cuori delle persone, afferma, e in questo senso è un elemento essenziale per creare la pace. Scrive:
«La musica apre ed espande le nostre vite. Niente è paragonabile al potere della musica che trascende istantaneamente ogni forma di discriminazione, genera una profonda unità spirituale ed eleva gli ascoltatori» (Storie di vita, jazz e Buddismo, Daisaku Ikeda, Herbie Hancock e Wayne Shorter, pag. 23, Esperia).
Quando hai iniziato a dedicarti alla musica?
A sette anni ho iniziato a studiare pianoforte, cantavo le canzoni dello Zecchino d’oro e papà, che era un musicista, mi accompagnava.
Successivamente fu lui stesso a suggerirmi di dedicarmi al violino, perché sarebbe stato più facile trovare lavoro… Esprimermi con uno strumento, che fosse il violino o il piano, mi ha dato sempre una gioia autentica e intensa.
Cosa ti ha spinto a fare il direttore d’orchestra?
Volevo stare al centro della musica. Avendo già qualche anno di lavoro in orchestra, a 24-25 anni mi cimentai nello studio della composizione e poco dopo nella direzione d’orchestra al Conservatorio. Tra i miei maestri c’è stato Giulini, di cui frequentai dei corsi con l’Orchestra dei ragazzi di Fiesole. Il carismatico maestro fu per me un esempio di rigore e rispetto verso la partitura. Fu lui a comunicarmi un concetto che poi si è scolpito nella mia mente: il direttore è l’unico sul palco che non produce il suono direttamente, ma proprio per questo deve sviluppare la capacità di trasmettere tutti i dettagli e l’atmosfera di un brano nel modo più diretto e rigoroso, comunicando attraverso il viso e le mani. La partitura è “il testo sacro”, mi disse.
In che modo il buddismo ha cambiato il tuo modo di vivere la musica?
Maturando ti accorgi che un po’ devi mettere da parte il tuo io a favore dell’arte, anche se per un direttore d’orchestra un pizzico di egocentrismo forse non fa male... Ma l’idea di far musica con gli altri e per gli altri è stata certamente rafforzata dalla pratica buddista. L’idea di fare qualcosa di valore insieme agli altri, di cercare un rapporto prima di tutto umano con i musicisti dell'orchestra, e poi con il pubblico, per creare questo grande rito che può essere un concerto o un'opera.
il maestro ikeda afferma che l’arte è una lotta per un automiglioramento senza fine e la creazione di valore. Come direttore d'orchestra, qual è la tua lotta più grande?
Lotto con me stesso perché emerga la musica e non il mio (piccolo) io.
Questa è la mia lotta più grande. Rimanere me stesso e persuadere l’orchestra che la tua via per realizzare la partitura è onesta e di valore: poi col tempo capisci che un’orchestra può suonare meglio di come avevi immaginato e accetti lo scambio alla pari fra musicisti, capisci che non c’è sempre bisogno di te!
A volte interiorizzare una partitura può essere una grande sfida. L’ascolto del direttore verso l’orchestra e dei musicisti fra loro è sempre l’aspetto che determina la profondità della musica, perché siamo veramente interconnessi. Quando questo accade lo senti nelle vene, nel cuore, e ti sembra di toccare per un momento la profondità della vita.
In che modo la relazione con il maestro ikeda ti sostiene nella tua missione?
Il maestro Ikeda è un grande esempio di amore per la cultura e il dialogo, certamente coi suoi scritti ma soprattutto con le sue azioni, è una grande fonte d’ispirazione.
Come direttore d’orchestra devi essere capace di persuadere, se non sei autentico non sei più credibile e i musicisti non ti seguono più.
Questa sì, è una lotta con se stessi. Ikeda è l'esempio di un grande maestro che ha raggiunto risultati straordinari soprattutto attraverso il dialogo e la dedizione a una grande causa. Per fare musica ci vuole una profonda dedizione, e ci vuole il dialogo, con se stessi prima di tutto, e poi con i musicisti.
In questo senso la relazione con il maestro ti incoraggia a perseguire la tua propria personalità, la tua voce. Questo è importantissimo, non si tratta di copiare ma di osservare e seguire quello che il maestro ha fatto.
Qual è il punto più importante nell’affrontare un concerto?
Un concerto, essendo una performance dal vivo, comporta tensione e a volte preoccupazione, può andare meno bene di come ti aspettavi, a volte va molto meglio e questo ti insegna che la vita è più grande di quello che la nostra mente si immagina… Un concerto è un magnifico rito che si svolge nel buio della sala.
Il pubblico è il terzo polo e quando è partecipe senti un'energia dietro le spalle che è fantastica! A volte improvvisamente scatta qualcosa nell'aria, questo è il potere della musica, questa grande energia che va oltre i nostri umori personali o le stanchezze, e quando questa magia accade per me è una delle più grandi esperienze della vita. Non sapresti dire come e perché scatta, c'è qualcosa di imponderabile ed è proprio questo il bello.
Allora capisci che il direttore d'orchestra è proprio il conduttore di questa energia straordinaria che circola attraverso te e gli altri. Naturalmente hai una grande responsabilità, come direttore però allo stesso tempo cerco di entrare dentro questo flusso.
Perché è importante avvicinare alla musica un pubblico più ampio?
Questo è un aspetto importantissimo. Ho avuto la fortuna di presentare dei Family concert all'Accademia di Santa Cecilia e al Parco della Musica, a Roma.
Mi ha sempre interessato la divulgazione come possibilità di condividere la mia passione, aiutare il pubblico a capire il linguaggio del compositore, come ha strutturato una partitura, come un'idea inizialmente piccola, ad esempio in Beethoven, si sviluppa fino a creare una grande cattedrale, come accade nella Sinfonia n. 7…
Questo "miracolo" mi ha sempre appassionato. E cerco di arrivare alle persone senza entrare sempre in un linguaggio tecnico. Questo fa sentire il pubblico - soprattutto chi ancora non è abituato a un concerto - meno distante e anche meno impaurito di ascoltare una musica che a volte sembra meno facile.
Certe sinfonie di Bruckner sono come scalare una montagna fino a 4.000 metri, ma anche una canzone semplice di pochi accordi può darci una grande emozione. Come diceva Leonard Bernstein, che ho avuto l'onore di incontrare, non esiste musica di serie A e di serie B. La musica è di valore o non lo è.
Abbiamo bisogno della cultura perché ci aiuta ad avere un pensiero critico, a orientarci. Cercare il contatto con la bellezza ci aiuta a svilupparci come individui.
Può essere cinema, teatro, o qualunque tipo di musica, perché la musica è anche intrattenimento e la dobbiamo vivere per quello che è. Può essere la letteratura, la poesia, o il contatto con la natura in cui ci immergiamo… magari osservando un albero, ascoltando il suono di un uccellino, in qualche modo anche questo diventa cultura, ci fa entrare dentro la profondità della vita…
Challenge: Guida all'ascolto
Abbiamo chiesto a Carlo Rizzari di guidarci nell'ascolto di un brano. Ecco cosa ci suggerisce…
Guida all’ascolto del secondo movimento
Ludwig Van Beethoven. Sinfonia n. 7 op. 92. Esecuzione dell’ Orchestra Filarmonica di Vienna diretta magistralmente da Carlos Kleiber.
Una sinfonia è una composizione per orchestra in tre o quattro parti, ciascuna con un carattere musicalmente diverso.
Dopo un primo movimento simile a una danza intensa e gioiosa , il secondo cambia registro ed è apparentemente più malinconico, quasi una processione.
All’inizio gli archi gravi con un tema misterioso formato dalla ripetizione della stessa nota, che diventa (0.47) l’accompagnamento di una melodia nobile; poco a poco anche le altre sezioni si uniscono sovrapponendosi ogni volta con una tessitura più acuta, dando quasi l’idea di un insieme di persone che si raduna per incontrarsi fino a che (2.11) Beethoven ci presenta con grande emozione tutta l’orchestra arricchita di fiati e timpani, pur conservando il carattere e il ritmo iniziale.
L’emozione si acquieta poco a poco e Beethoven cambia atmosfera (2.57) e ci trasporta in un mondo di bellezza, la natura pastorale si percepisce anche grazie agli strumenti a fiato, il clarinetto e il corno che dialogano (3.26) in un’atmosfera idilliaca.
Beethoven con meravigliosa inventiva rientra nell’atmosfera dell’inizio, con la malinconica e nobile melodia ripresa dai fiati (4.25) accompagnati da un movimento degli archi che si trasforma in una sonorità oscura e lontana (5.20), come se la musica si stesse perdendo nel buio… con sorpresa dell’ascoltatore però si ritrova la strada in modo deciso ma con tensione musicale (6.04), prima che si cerchi conforto di nuovo nell’atmosfera pastorale (6.29)
Dopo un alternarsi (7.09) di nobile grandezza e intimità la conclusione (7.23) del brano porta a un dialogo musicale in cui le note ripetute dell’inizio passano per tutte le sezioni dell’orchestra e la musica sembra sfilacciarsi ma si conclude con l’affermazione decisa (7.58) del ritmo iniziale anche se in modo sospeso, poiché dopo un breve silenzio il direttore e l’orchestra attaccheranno il terzo movimento.
Buon ascolto!