Come nasce il progetto in supporto ai braccianti agricoli in Campania, Calabria e Sicilia?
L'Italia ha un’enorme produzione ortofrutticola, è tra i più grandi e migliori produttori in Europa. Le nostre primizie sono di qualità eccellente, e tale produzione è una spina dorsale della nostra economia. In alcune situazioni però questo è il risultato di un grandissimo sfruttamento, di caporalato e contratti fittizi. In questi contesti, i braccianti sono costretti a lavorare in situazioni allucinanti per dieci o dodici ore al giorno, in un clima asfissiante, senza protezioni e la maggioranza risiede in edifici fatiscenti o insediamenti informali, senza acqua potabile e servizi igienici.
È estenuante vedere le condizioni di vita di persone a cui viene promesso un lavoro florido e ben retribuito, ma poi vengono sfruttate. Lo scopo di EMERGENCY, attraverso il progetto in supporto ai braccianti agricoli in Campania, Calabria e Sicilia è fare in modo che queste persone siano curate perché è un loro diritto fondamentale, e anche che siano consapevoli dei propri diritti. Il progetto trova il suo fondamento nell’articolo 32 della Costituzione che affronta il tema dell’universalità delle cure che devono essere garantite a ogni individuo presente sul nostro territorio, e non a ogni cittadino.
In cosa consiste il progetto?
In stretta collaborazione con le ASL locali, il progetto risponde alle necessità socio-sanitarie di braccianti agricoli in gravi condizioni di vulnerabilità attraverso l’offerta di mediazione, supporto socio-amministrativo e supporto al percorso di cura, e attraverso l’erogazione diretta di prestazioni mediche, infermieristiche e psicologiche.
Questo non significa sostituirsi al sistema sanitario esistente ma implementare un approccio che tenga in considerazione le diverse determinanti sociali della salute.
I migranti e i lavoratori stagionali che sono vittime di sistemi di sfruttamento lavorativo, spesso non sono consapevoli dei loro diritti. Faticano a orientarsi nel sistema sanitario anche per la quasi totale assenza di mediatori culturali, per gli ostacoli di tipo amministrativo e burocratico, ma anche banalmente la difficoltà pratica di raggiungere i presidi sanitari.
Come EMERGENCY abbiamo investito moltissimo sulla figura del mediatore culturale, grazie a loro si può risparmiare molto tempo perché orientano le persone e fanno capire velocemente al personale sanitario di che cosa c'è bisogno, a quel punto il paziente diventa autonomo.
Il progetto si avvale di cliniche mobili che girano nelle campagne sparse, polverizzate, infatti uno dei problemi più grandi è l'accesso alle cure. Lavoriamo spesso dalle 15.00 alle 21.00 perché è il momento in cui intercettiamo la fine del lavoro nei campi e loro hanno tempo per farsi visitare.
Quando non sai come muoverti o gli orari degli ambulatori delle ASL non rispettano i tuoi orari di lavoro, non puoi perdere una giornata di lavoro perché significa che poi non hai da mangiare.
Siamo testimoni di molte esperienze virtuose grazie al progetto, ad esempio persone di seconda generazione che lavoravano nelle serre in Sicilia e hanno visto i genitori spezzarsi la schiena.
Alcune di loro sono riuscite a laurearsi e sono diventate degli asset per il programma Italia di EMERGENCY.
Sono dei professionisti incredibili proprio per via dell’esperienza vissuta e sanno cogliere immediatamente il problema della persona, specialmente se viene dalla stessa area geografica. Queste persone sono portatrici di una conoscenza nuova, di un nuovo pezzo di vita con la quale per forza dovremo interagire.
Avete attivato delle collaborazioni e delle reti con competenze complementari alle vostre affinché la presa in carico delle persone vada anche al di là di quella sanitaria?
Il gruppo multidisciplinare di EMERGENCY è nato proprio per dare una risposta organica e ha sviluppato una proficua collaborazione con una rete di partner presenti sul territorio (pubblica amministrazione, ASL, attori del Terzo Settore ed enti privati).
Associazioni come ASGI, con cui ci interfacciamo per la parte della tutela del diritto di accesso alle cure, i gruppi GrIS che sono la "propaggine" territoriale della SIMM, la Rete Castel Volturno Solidale che si occupa anche della parte legale e sociale. Prendendo come esempio il territorio di Castel Volturno, cito in particolare la collaborazione con l’Ex Canapificio di Caserta per la tutela legale e i Missionari Comboniani per l’accompagnamento sociale.
Ogni territorio ha le sue specificità ma la rete è sempre attivata a doppio senso, proprio per fare in modo che ogni realtà possa dare al beneficiario il massimo delle competenze possibili. Tutto questo, al netto delle difficoltà strutturali di un Paese che investe troppo poco sul welfare e sulla sanità, permette di fare il massimo con le risorse disponibili e proprio per questo, quando si riesce, il lavoro prodotto ha un valore molto importante, non solo per la persona ma anche per la stessa struttura della rete.
Cosa ti spinge a fare questo lavoro e cosa diresti ai giovani?
Spesso ci sono più frustrazioni che soddisfazioni e la tendenza è che ti porta giù nello sconforto più totale. A volte la sera arrivo che vorrei mollare tutto però poi la mattina ricomincio… finché funziona così va bene. È un lavoro che porta tante frustrazioni ma c'è anche tanto valore all'interno di quello che si fa.
Se c'è un grande valore, poi si superano anche tutte le difficoltà.
La mia fortuna è avere dei colleghi incredibili, delle persone veramente fantastiche.
Mi piacerebbe vedere molti più giovani in posizioni di responsabilità nei luoghi di decisione, in Italia noi tendiamo a non aver fiducia, e questo è un errore fondamentale.
Ai giovani voglio dire: abbiate fiducia, rompete le scatole, andate avanti per quello che credete ed esigete responsabilità se siete persone competenti. Una persona giovane è di per sé rivoluzionaria, ha voglia di mettere in gioco tutto e quindi non dovete avere paura di pretendere la dignità di ciò che avete capitalizzato anche solo se in una fase breve della vita. Il tempo è relativo, conta anche la qualità e la forza di certe esperienze. Non ascoltate quella voce che vi dice che non ce la farete.
© Foto di Filippo del Lago, Alberto Mersica e Davide Preti