Come hai iniziato a praticare il Buddismo?
Ho avuto la fortuna di incontrare il Buddismo a quattordici anni, era la metà degli anni ’80. All’epoca ero un giovane che si affacciava al mondo della musica, suonavo già da quattro anni quando un amico mi parlò di Nam-myoho-renge-kyo. È stato il regalo più bello della mia vita.
Ho iniziato a praticare perché il primo anno di liceo avevo scarsissimi risultati in latino. Lo odiavo. Inoltre, come artista ero ambizioso e desideravo emergere, ma combattevo con una profonda timidezza. Non riuscivo a mettermi in gioco, e il fatto di essere cresciuto in un piccolo paese non mi aiutava.
Il primo beneficio che ho sperimentato grazie al Buddismo era legato alla malattia di mio padre che soffriva di problemi al cuore e continuava ad avere gonfiori alle estremità del corpo, ma nessuno ne capiva la causa.
Iniziai a recitare Nam-myoho-renge-kyo con tutte le mie forze perché emergesse una soluzione. Un giorno venne a trovarci un amico di famiglia, cardiologo, e ci disse che poteva trattarsi di una malattia rara e all’epoca poco conosciuta. Grazie a quel consiglio e a un trattamento specifico, mio padre riuscì a prolungare la sua vita di otto anni. Inoltre, l’anno successivo vinsi il premio regionale come miglior traduttore di latino della Toscana: ancora oggi me lo ricordo perfettamente e l’ho insegnato a mio figlio quando l’ha studiato a scuola.
Qual è la trasformazione più significativa che hai realizzato grAZIE ALLA PRATICA BUDDISTA?
Nei primi anni la mia pratica era a tratti molto intensa, a tratti si affievoliva. Il grande cambiamento è arrivato quando ho capito che avrei dovuto basare profondamente la mia vita sulla recitazione di Gongyo e Daimoku. Da quel momento la mia fede è diventata come l’acqua che scorre. Il Buddismo mi ha portato a diventare l’uomo e il musicista che sono. Dalla persona estremamente paurosa che ero, a tratti ipocondriaca, oggi qualunque cosa succeda, sento che posso affrontarla senza avere rimpianti. Mi ritengo una persona felice. Sin da giovane mi sono confrontato con le grandi platee e la pratica buddista mi ha permesso di dirigere la mia vita dove desideravo.
Sei sempre in giro per concerti, come fai a mantenere una pratica costante?
È proprio la pratica buddista che mi permette di scandire il ritmo della mia vita giorno per giorno. La pratica di Gongyo mattina e sera è l’appuntamento più importante, quali che siano gli impegni della giornata.
All’inizio era difficile perché vivevamo con i musicisti in un furgone dormendo nei sacchi a pelo, e mi sono adattato a recitare Daimoku nelle situazioni più disperate, a volte anche nei bagni dei locali dove andavamo a suonare. Oggi guardo a quei momenti con nostalgia perché quelle situazioni hanno temprato la mia fede. Nonostante fossi in giro per le tournée ho sempre cercato di frequentare gli zadankai. Una persona una volta mi disse: “Non avere paura, ma sfida con il sorriso tutto ciò che la vita ti offre, nel bene o nel male”. Ho imparato che le riunioni buddiste ti cambiano la vita perché possiamo migliorare grazie al confronto con le altre persone.
Guitar Revolution è il secondo capitolo della tua avventura come solista. Ti sei ispirato al concetto di rivoluzione umana?
Quello di rivoluzione umana è un concetto meraviglioso. La mia generazione viene da un’epoca in cui le rivoluzioni erano fatte con le armi. Il disco Guitar Revolution è frutto di una profonda introspezione, della ricerca di un modo per cambiare e ribaltare la prospettiva, come ci insegna il Buddismo.
Con questa situazione a livello globale, ciò che possiamo fare è innanzitutto migliorare a partire dal nostro ambito personale. Realizzare la nostra rivoluzione umana con la consapevolezza che siamo noi responsabili della nostra vita.
Il mio libro Best of Finaz ha come sottotitolo “Per un uso estremo della chitarra acustica”. Con “uso estremo” si intende esplorare, sperimentare, tentare, mettersi in gioco… la gioia che si prova nel non sentirsi mai fermi. In un certo senso siamo tutti esploratori della vita.
Questo si traduce nel mio modo di suonare la chitarra che è molto particolare, ho uno stile personale che è frutto di questa ricerca, chiaramente stimolata dalla pratica giornaliera del Buddismo.
Hai qualche consiglio per i giovani musicisti?
Direi ai giovani di essere molto convinti di quello che fanno, in tutti gli aspetti della vita, non soltanto nella musica. Il Buddismo spiega l’importanza di avere una determinazione come una spada affilata.
Quando recitiamo Nam-myoho-renge-kyo, dovremmo evitare di pensare, ad esempio: “Vorrei realizzare questo ma forse è troppo”. Non dovremmo farci influenzare da questi pensieri.
Un altro aspetto è che i benefici più grandi nascono nei momenti più bui. Il maestro Ikeda afferma che: «Più buia è la notte, più vicina è l’alba» (Giorno per giorno, 15 agosto, Esperia), perché in quei momenti siamo talmente disperati che, per farcela, ce la mettiamo tutta.
Un consiglio che posso dare ai ragazzi che si avvicinano ora alla pratica è di sperimentare quotidianamente quello che il Buddismo insegna, di sentirselo addosso. Siamo noi che attiviamo il nostro stato vitale e con il nostro agire, la nostra decisione, riusciamo a cambiare le cose, noi stessi e l'ambiente intorno. Altrimenti resta solo un bell'esercizio di meditazione.
Da ragazzo non avrei mai pensato di fare della mia passione un lavoro.
Sono sempre stato immerso nella musica, la mia famiglia mi dice che ho sempre cantato, ballato, era la mia passione.
Anche se non con le parole, tramite la musica cerco di trasmettere sempre il Buddismo, e quando incontro le persone dopo i concerti o nelle interviste, capita spesso che mi chiedano del Buddismo. Una persona che recentemente ha ricevuto il Gohonzon si avvicinò a me dopo un concerto chiedendomi: “Ma com'è che sei sempre sereno e hai tutta questa energia?!”.
La sfida di realizzare sempre più la mia vita mi permette di incoraggiare altre persone e di aiutarle ad alleviare la loro sofferenza tramite il Buddismo.
Sia quando ho ricevuto il premio come miglior chitarrista italiano, sia in ogni altro traguardo, la prima cosa che ho fatto è stato ringraziare il maestro Ikeda perché senza il suo supporto, e quello di tutta l’organizzazione, sono sicuro che non avrei mai raggiunto questi obiettivi.