Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione · Il Nuovo Rinascimento · Rivista della Soka Gakkai Italiana dal 1982 ·Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione ·Il Nuovo Rinascimento · Rivista della Soka Gakkai Italiana dal 1982 ·

891  | 
29 novembre 2024

Rompere il silenzio

Intervista a Tibisay Ambrosini di "Stop rape Italia"

Abbiamo intervistato Tibisay Ambrosini, coordinatrice della campagna “Stop rape Italia”, per approfondire insieme il tema della violenza sessuale sulle donne durante i conflitti armati. Un argomento di cui poco si parla, nonostante gli innumerevoli casi di violenza perpetrati e le enormi sofferenze e conseguenze che ne derivano

immagine di copertina

Il tema della violenza sulle donne ha tante, molteplici sfaccettature. Ma da qualunque angolazione vogliamo approfondire la questione, c’è un’unica radice: la disuguaglianza di genere. Questa realtà è ancora più evidente nell’ambito dei conflitti armati, alla cui base vi è una totale svalutazione della vita, in ogni suo aspetto.
Tibisay Ambrosini ha condiviso con noi alcuni dati che le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare riguardo alle violenze sessuali perpetrate sulle donne durante i conflitti, a partire dal 1990: durante la Guerra civile in Sierra Leone (1991-2002) 60.000 donne stuprate, in Liberia (1989-2003) più di 40.000 donne, in Colombia, solo tra il 2001 e il 2009, oltre 480.000. Nella Repubblica Democratica del Congo, durante gli ultimi dodici anni di guerra almeno 200.000 donne, ma in uno studio basato sui dati delle strutture sanitarie e pubblicato sull’American Journal of Public Health si parla invece di 400.000 donne, solo tra il 2006 ed il 2007. Nel fornirci questi dati Tibisay ci ricorda che, per quanto le cifre siano uno strumento importante per quantificare la dimensione del problema, dietro quei numeri ci sono delle donne, ci sono vite distrutte, ci sono sogni spezzati.

“Stop Rape Italia” è nata nel 2014, in seguito a una visita nel nostro paese del Premio Nobel per la Pace Jody Williams. Williams si trovava in Italia per una missione diplomatica in supporto alle attività di un'altra campagna, quella contro le mine anti persona. Conoscendo le nostre attività a sostegno dei diritti umani, ci propose di attivarci sul tema della violenza sessuale sulle donne durante i conflitti, e così è nata la campagna Stop Rape Italia, di cui fin da subito sono stata la coordinatrice. Ci occupiamo di promuovere attività di sensibilizzazione nelle scuole e anche percorsi con i ragazzi più grandi. Solitamente coinvolgiamo studenti e studentesse come “esperti di comunicazione”, chiedendo loro di approfondire l’argomento e quindi di elaborare dei documenti che possano essere utilizzati per sensibilizzare i coetanei. E da alcuni anni, in occasione del 19 giugno, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sessuale dai conflitti, illuminiamo la Piramide di Roma esponendo i lavori realizzati dagli studenti. Collaboriamo anche con l'università per realizzare cicli di incontri per approfondire il tema. Inoltre, lavoriamo tantissimo con le istituzioni e abbiamo promosso in Senato una mostra fotografica che rappresenta le sopravvissute non come vittime ma come donne coraggiose che hanno deciso di prendere in mano la loro vita e di battersi in prima persona per cambiare le cose e chiedere giustizia. A livello internazionale abbiamo dato un grande contributo, all’interno del W7: Feminist Vision for the G7 in occasione del G7 del 2018 attraverso la preparazione e sottoposizione di documenti di raccomandazione. Nel nostro approccio è fondamentale sostenere le donne sopravvissute, a volte anche facendo un passo indietro per far sì che siano loro a prendere le decisioni, che siano loro a svolgere un ruolo centrale nelle nostre iniziative. Il nostro agire è completamente basato sul loro contributo. Noi rappresentiamo un megafono per le loro richieste.

Sicuramente la radice è la disparità di genere che colpisce le donne sia in tempo di pace sia in tempo di guerra. Tuttavia c’è una differenza: quando parliamo di conflitto, lo stupro non è il risultato di un impulso malato, ma di una vera e propria strategia. All’interno dei conflitti l'uso della violenza sessuale è diffuso e sistematico e viene applicato per raggiungere obiettivi chiari e pianificati. Ad esempio nella Repubblica Democratica del Congo, veniva spesso utilizzata per allontanare le popolazioni dalle zone dove ci sono le miniere che rappresentano importanti risorse. Così come si può ordinare ai propri sottoposti di andare a minare o a sparare, si può ordinare di andare a stuprare. Inoltre, è importante sottolineare che questo tipo di violenza produce un effetto devastante non solo sulle vittime dirette, ma su intere famiglie e comunità. Perché è un'arma che distrugge i legami familiari e comunitari, distrugge il tessuto sociale, annienta la comunità. Molto spesso queste violenze sono sistematiche e accompagnate da altre violenze, vengono compiute davanti ad altri membri della famiglia, innescando una serie di conseguenze che ricadono anche sugli uomini, che pensano di non essere stati in grado di difendere le loro donne, per non parlare dei bambini che assistono alla violenza. Spesso poi le donne che subiscono la violenza vengono allontanate dalla comunità perché considerate complici di coloro che le hanno violentate. Peraltro in alcune zone esiste ancora il delitto d’onore, quindi per evitare ripercussioni ulteriori le donne non denunciano né raccontano la violenza subita. È più facile considerarle complici e responsabili che prendersi cura di loro…

Nel novembre 2022 è stata firmata da numerosi Stati una Dichiarazione politica che puntava a porre fine allo stupro come arma di guerra. Tuttavia le sopravvissute presenti in quell’occasione hanno ritenuto questa Dichiarazione molto debole e poco coerente con i loro bisogni. Parallelamente, su loro iniziativa è partita la “Red Line Initiative” (Iniziativa della Linea Rossa), il cui nome esprime l’auspicio di poter tracciare una fine alle innumerevoli violenze sulle donne.
Anche grazie al contributo di esperti legali, si è discusso sulla possibilità effettiva di mettere al bando lo stupro come se fosse un’arma. Per fare questo sono stati messi a confronto molteplici Trattati e Dichiarazioni, che contengono in modo sparso diverse disposizioni in materia …
Alla fine, si è deciso di procedere alla stesura di linee guida per gli Stati, per renderli consapevoli di quelli che sono i loro obblighi nel salvaguardare i propri cittadini, e affinché questa Dichiarazione possa declinarsi in azioni concrete.

Quando ci chiediamo che cosa possiamo fare la risposta dipende dal contesto, perché ogni storia è a sé. Sicuramente in generale queste donne hanno bisogno di essere accolte, abbracciate, di sentire che non c’è nulla di cui vergognarsi o sentirsi colpevoli. Hanno bisogno di qualcuno che le aiuti a sentire il proprio valore e questo potrebbe anche aiutarle a raccontare le loro storie e a denunciare. Spesso all’interno dei progetti a loro dedicati ci si avvale anche di workshop, dove attraverso l'arte e la musica hanno la possibilità di rielaborare la loro storia. È molto bello vedere come si sostengono tra loro, con l’obiettivo di agire affinché tragedie simili non accadano più. Spesso hanno bisogno di un supporto medico e psicologico, di corsi di alfabetizzazione e di un reinserimento socio-economico, e questo le aiuta a sentirsi più indipendenti e le supporta nel richiedere la giustizia. Ciò che noi facciamo è proprio sostenerle in questo obiettivo di non lasciare impuniti questi crimini.
A livello collettivo, come società civile, ciò che si può fare prima di tutto è informarsi nel modo giusto, senza mai perdere di vista il fatto che stiamo parlando di un crimine di guerra a tutti gli effetti. Inoltre, essendo un tema che riguarda la violazione dei diritti umani, è trasversale, è un argomento che ci riguarda tutti e tutte. Sicuramente le persone ben informate possono fare la differenza, qualunque sia poi l’azione che intraprendono nel loro piccolo. E poi c'è la possibilità di lavorare tanto con le nuove generazioni sulla questione dello stigma, della vergogna, per scardinare questo pensiero distorto.

Vorrei far parlare loro, queste donne coraggiose che hanno deciso di raccontare la loro storia, di denunciare, di non rimanere in silenzio. Per questo motivo vorrei condividere questa dichiarazione collettiva che le donne che fanno parte della rete SEMA[1] (un network globale di donne vittime di violenze sessuali in contesti di guerra) ci hanno inviato in occasione del 19 giugno 2021, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale dai conflitti. In quell’occasione abbiamo proiettato sul Colosseo le frasi inviateci da diversi paesi, usandolo come schermo su cui trasmettere le loro parole a tutto il mondo.

“La violenza sessuale sulle donne distrugge le comunità e la dignità umana. Lavoriamo insieme per costruire una società libera dalla violenza sulle donne, nella quale i loro diritti siano rispettati e dove le donne possano sentirsi protette”.


[1] SEMA, che significa "parlare" in swahili, riunisce in reti a livello locale e nazionale le migliaia di sopravvissute alla violenza sessuale in tempo di guerra.  I membri di SEMA si mobilitano collettivamente per parlare della realtà della violenza sessuale nei conflitti e agire in solidarietà per porre fine alla violenza sessuale e all’impunità in tempo di guerra.
Il dottor Denis Mukwege afferma:
«Quando una sopravvissuta ha il coraggio di rompere il silenzio e di difendere i suoi diritti, ispirerà gli altri a fare lo stesso. Questo è il motivo per cui è così importante connettere i sopravvissuti in modo che possano rafforzare la guarigione e l’attivismo reciproco. La rete globale delle sopravvissute ha scelto il nome SEMA, la parola swahili che significa “parlare”. L’esperienza di essere messi a tacere e ignorati è stata un tema comune nelle esperienze dei sopravvissuti – non solo nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), ma in tutto il mondo e nel corso del tempo. Rompere il silenzio è il primo passo cruciale verso la rivendicazione dei diritti negati a tanti di loro.
Il lavoro svolto da queste donne non è esclusivamente per se stesse. Né si tratta di cercare vendetta. Il loro scopo è che il mondo sappia che i sopravvissuti hanno diritti che devono essere rispettati. È per garantire che le loro figlie e nipoti non debbano mai vivere le esperienze che loro hanno sofferto».

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata