Nella cultura all’interno della quale siamo nate e cresciute, non è sempre facile riconoscere la violenza come tale. Questo è uno dei motivi per cui molte donne non denunciano le violenze subite. Qual è la tua opinione in merito e come possiamo incoraggiare le donne a denunciare, facendole sentire accolte e realmente ascoltate?
Corinne: Si riconoscono molto facilmente le forme evidenti della violenza, come quella fisica o sessuale. Invece si fatica molto di più a riconoscere quelle forme di violenza sottili e nascoste, come la violenza psicologica o verbale, che viene molto normalizzata.
All'interno del progetto “Youth for Love” (link al progetto), con ActionAid lavoriamo con percorsi rivolti a studentesse e studenti, al corpo docente, al personale scolastico e alle famiglie.
In un'indagine svolta con Ipsos nel 2023 vengono messi in evidenza i molteplici motivi per cui le persone non denunciano: in primis la vergogna, nel 62% delle risposte, poi viene la paura, nel 55% delle risposte, e la convinzione che comunque non succederà nulla per un 48% delle risposte. Questo ci fa capire che le persone che subiscono violenza continuano a subire violenza anche nel corso della denuncia e molto spesso non vengono credute. La violenza che subiscono viene minimizzata da quei soggetti stessi a cui dovrebbero potersi rivolgere per denunciare.
Ciò che possiamo fare è un’azione di prevenzione della violenza, ma anche di sostegno alla denuncia… non dobbiamo più rimanere in silenzio.
Ciò che dovrebbero fare le istituzioni, invece, è investire sulla prevenzione in maniera strutturale e continuativa, attraverso programmi educativi nelle scuole di ogni ordine e grado, campagne di sensibilizzazione, superando a tutti gli effetti l'ottica emergenziale e securitaria che ha finora caratterizzato tutte le politiche antiviolenza.
Inoltre, è cruciale il potenziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio, e in generale di tutti quegli attori attivi in percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Ed è anche molto importante stimolare una maggiore conoscenza da parte della cittadinanza di questi spazi e servizi a disposizione, che ancora oggi risulta piuttosto limitata. Infine, è fondamentale la formazione degli attori chiave che hanno un ruolo in termini di prevenzione della violenza, come le forze dell'ordine, il personale sanitario e scolastico.
Areta: Un cambiamento culturale è necessario a tutti i livelli, a tutte le età e nelle varie istituzioni. La scrittrice Laura Bates nel 2014 ha pubblicato Everyday Sexism (Sessismo quotidiano). All'epoca aveva ventotto anni e nel libro racconta il suo vissuto, una serie di episodi sessisti, a partire dalle molestie verbali e sul posto di lavoro. Mette in evidenza come vengono normalizzati questi episodi e quanto è difficile riconoscerli. Dopo questa pubblicazione Laura Bates ha lanciato un progetto online, dallo stesso nome, per raccogliere le testimonianze di quante più donne possibili che subiscono quotidianamente queste violenze. C’è la necessità di parlare sempre più di questi argomenti in modo che ci si possa allenare a riconoscere la violenza in ogni sua forma. Non c’è bisogno di arrivare al caso di femminicidio.
Vorrei portare l’esempio della “piramide dell’odio”. All’apice troviamo i crimini di odio come la violenza estrema, mentre alla base vi sono tutti gli altri gesti di violenza e sessismo più difficilmente rintracciabili e comunemente diffusi. Ovviamente essendo una piramide, l’apice è più stretto della base, questo per evidenziare che le persone che arrivano a compiere gesti estremi di violenza sono molto meno numerose rispetto a coloro che compiono altri gesti, rappresentati nella base della piramide. Come educatrice e formatrice, lavoro con ciò che si trova alla base della piramide, dove si trovano una serie di stereotipi di genere e pregiudizi difficili da riconoscere.
Con Oxfam, all’interno del progetto “Give me five” (link al progetto) lavoriamo nell’educare a riconoscere gli stereotipi di genere e successivamente a decostruirli.
I femminicidi sono definiti “delitti di Stato” perché molte volte non è stato in grado di proteggere le donne, la cui morte è stata addirittura strumentalizzata e banalizzata. Cosa possiamo fare per far sì che questo tipo di cultura e l’approccio dello Stato possano cambiare?
Areta: Penso al caso di Chiara Balistreri, una giovane bolognese che qualche giorno fa ha registrato un video molto coraggioso in cui parlava del suo ex, agli arresti domiciliari per violenza, e che ora è evaso. Con questo video ha cercato di anticipare l’ennesimo caso di femminicidio. Il messaggio che ha inviato è veramente molto forte. Ciò che possiamo fare è dare il giusto spazio e riconoscimento alle persone che stanno subendo tali violenze e decidere come cambiare la narrativa e il modo in cui queste storie vengono raccontate. Spesso le donne vengono giudicate anche sulla base di ciò che indossavano nel momento in cui hanno subito la violenza. Questo genere di commenti è inaccettabile perché nessuno dovrebbe trovarsi a subire una violenza e tutta la società dovrebbe essere unita per proteggere soprattutto le persone che si trovano in condizioni di vulnerabilità. Possiamo dare il buon esempio attraverso il modo in cui conduciamo la nostra vita, possiamo educare e rieducare i nostri figli, i nostri padri, colleghi, amici e vicini di casa.
Corinne: Dobbiamo rendere inaccettabili le discriminazioni e la violenza di genere e questo lo possiamo fare in diversi modi: superando la narrazione tossica che in questo momento è quella dominante; non rimanendo in silenzio quando assistiamo a violenze e discriminazioni, e questo è un elemento fondamentale per non far sentire sole le persone che subiscono violenza; e creare degli spazi sicuri all'interno delle comunità.
Come cittadine e cittadini possiamo mobilitarci non solo per proteggere ciò che è stato conquistato nell'ultimo secolo dai movimenti femministi, ma anche per realizzare una visione diversa. Un mondo dove le persone siano consapevoli delle dinamiche di potere, di privilegio e di oppressione che non dipendono solo dal genere ma anche da altre caratteristiche, come per esempio il colore della pelle, la provenienza, il fatto di avere o meno la cittadinanza, l'orientamento sessuale, l'identità di genere e così via. Ed è solo mobilitandosi tutte e tutti insieme, superando la logica secondo cui la violenza di genere è un problema prettamente femminile che possiamo ampliare la mobilitazione sociale che già da tempo nel nostro Paese viene sostenuta da moltissime e moltissimi giovani che hanno le idee molto chiare rispetto al futuro che immaginano e che vogliono.
Molte esperte ed esperti affermano che un’educazione sessuale e affettiva potrebbe permettere lo sviluppo di una serie di capacità relazionali di cui, a oggi, in particolare molti giovani uomini non dispongono, e che potrebbe radicalmente contrastare una visione oggettivizzante della donna e i casi di violenza di genere. Ma come si può realizzare un cambiamento di questo tipo?
Corinne: Come sottolineato anche dall'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) e dall'Unesco, è fondamentale e urgente introdurre programmi di educazione alla sessualità e all'affettività nelle scuole di ogni ordine e grado, per creare spazi sicuri e permettere che ragazze e ragazzi possano acquisire una maggiore consapevolezza rispetto alle dinamiche di oppressione e privilegio che quotidianamente vivono sulla loro pelle. Mi preme sottolineare quanto sia fondamentale coinvolgere anche i giovani maschi in questi percorsi. Questo perché il patriarcato ha degli effetti devastanti anche sulla vita dei ragazzi. Nei percorsi che portiamo avanti emerge spesso il tema della mascolinità tossica e di come questa crei un forte malessere nei confronti dei ragazzi che devono adattarsi a questo modello perché la società si aspetta da loro che esprimano un certo tipo di mascolinità, anche se non corrisponde a quelle che sono le loro convinzioni e predisposizioni personali.
I genitori possono in realtà fare tanto, come informarsi rispetto alle tematiche di genere, mettendo in discussione una serie di costrutti sociali che li hanno accompagnati nel corso della loro vita e aprirsi ai vissuti dei propri figli e delle proprie figlie che sono sicuramente diversi da quelli che hanno sperimentato loro durante l’adolescenza.
Fondamentale è anche essere consapevoli delle forme specifiche di violenza che ragazze e ragazzi subiscono. C'è ancora una forte prevalenza di teen dating violence (violenza di genere nelle relazioni tra pari), che è estremamente diffuso. [nota: per teen dating violence si intendono tutte quelle forme di violenza di coppia tra adolescenti che riguardano una varietà di comportamenti che vanno dall'abuso fisico e sessuale a forme di violenza psicologica ed emotiva. Ad esempio tra adolescenti c’è una forte idealizzazione del cosiddetto “amore romantico”, quell'idea di amore secondo cui “se lui è geloso significa che mi ama”.
Areta: Per fortuna in Italia ancora c'è un'autonomia scolastica, e questa è la leva che può incidere su questo tipo di percorsi. Ad esempio, una delle attività che promuoviamo con il progetto “Give me five” di Oxfam è l'adozione della Carta della parità di genere che permette di fare un’autovalutazione su cinque macroaree che vanno dalla leadership al curriculum scolastico, l'ambiente fisico, le relazioni e i comportamenti nella comunità educante, e va a osservare una serie di aspetti riguardo la parità di genere a scuola. Uno degli obiettivi è stimolare la riflessione non solo da parte di docenti e dirigenti, ma di tutte le figure della comunità educante. La scuola potrebbe svolgere un ruolo importante nello sradicare la cultura patriarcale. Le famiglie possono lavorare con i propri figli sull'importanza di esprimere e non reprimere le proprie emozioni. Per esempio, si pensa spesso che per i ragazzi sia sconveniente piangere, ma possiamo trasmettere ai nostri figli la consapevolezza che siamo tutti esseri umani e che le emozioni non hanno genere. Inoltre, in famiglia si possono anche trattare temi riguardanti la sessualità che in Italia e nelle scuole sono ancora un tabù. Un ulteriore lavoro è quello sul consenso e su cosa significhi rispettare la libertà individuale e collettiva. I ragazzi e le ragazze possono essere stimolati attraverso dibattiti, film e libri a sviluppare un pensiero critico, così da diventare indipendenti rispetto alle opinioni circostanti.
C’è un messaggio che vorresti condividere con noi e con i giovani e le giovani?
Areta: Parliamo di questi temi con grande onestà e cerchiamo di riflettere, di sviluppare un pensiero critico sul nostro comportamento e su quello degli altri. Domandiamoci ad esempio: “mi piace quello che sta facendo quella persona?” o “mi piace, mi fa sentire bene il modo in cui mi sto comportando?”. Tutto parte dal proprio cambiamento personale, mentre spesso i giovani e le giovani pensano sia inutile perché vedono che niente cambia. Vorrei anche dire loro che va benissimo chiedere aiuto se c'è qualcosa che non ti fa star bene, se c'è qualcosa che non hai capito o se c'è un comportamento che hai visto che non ti sembra giusto, rispettoso. Io non sono nessuno per dare un messaggio ai giovani, ma so che ogni persona dovrebbe sentirsi libera e rispettata. Ognuno e ognuna di noi ha una responsabilità e un grande potere di cambiare le cose.
Corinne: Vorrei chiedere ai giovani e alle giovani di non smettere mai di far sentire la loro voce e di rivendicare i loro diritti perché il futuro parte da qui. Tutte e tutti dovremmo imparare a metterci in ascolto dei giovani, creare spazi di partecipazione e fare in modo che i ragazzi e le ragazze abbiano voce rispetto alle decisioni che li riguardano. Volevo poi condividere il messaggio di Francesca, una studentessa di Youth for Love della scorsa edizione: “Le tipologie più frequenti di violenza e di discriminazione a scuola sono il cat calling, il body shaming, diverse forme di bullismo e discriminazione di genere e di orientamento sessuale. Queste violenze si protraggono poi all'esterno della scuola. Un modo per prevenirle sarebbe creare un ambiente sicuro e di rispetto reciproco tra studenti, ma anche con gli insegnanti. La scuola dovrebbe istituire corsi di formazione sull'educazione alla sessualità, all'affettività. Una cosa che chiederei ai miei coetanei, alle mie coetanee, è di avere maggiore consapevolezza sul mondo che ci circonda, essenziale per formare un proprio pensiero che si distacchi da condizionamenti esterni e pregiudizi”.
Secondo me i giovani lo sanno dire meglio di noi adulti.