Come possiamo affrontare con la pratica buddista la sofferenza che deriva dalla conclusione di un rapporto di amicizia?
Per quanto l’amicizia sia uno dei legami più importanti che una persona possa coltivare, non sempre questo rapporto dura tutta la vita. Nel tempo cresciamo, cambiamo luogo e stile di vita, prospettive e interessi, e spesso le amicizie che pensavamo durassero in eterno cambiano o svaniscono, rimanendo dei bei ricordi, dei tesori preziosi per la nostra crescita. Altre volte il rapporto si conclude per cause sconosciute o per incomprensioni che ci fanno allontanare dall’altra persona, lasciando dietro di sé una gamma di emozioni tra cui la delusione, il rancore, la rabbia, la tristezza. È così difficile andare oltre queste emozioni a volte, cercare il confronto con l’altro senza mettere in discussione il proprio valore. Le domande che emergono in circostanze simili sono molteplici… “Perché non mi vuole più bene? Cosa ho fatto di sbagliato?” oppure “Rimarrò sicuramente solo/a per sempre perché non sono bravo/a abbastanza” o potremmo anche decidere di andare avanti, relegando la responsabilità della chiusura del rapporto esclusivamente all’altra persona, continuando a covare un senso di rabbia e rancore.
In ogni caso, quando soffriamo per la crisi di un rapporto, possiamo metterci davanti al Gohonzon esattamente così come siamo, con le nostre sofferenze, i nostri dubbi, le nostre domande e anche con la nostra rabbia, e recitare Nam-myoho-renge-kyo per lucidare il nostro cuore, decidendo di essere più felici che mai e di sciogliere tutta la sofferenza che sentiamo al centro del petto e che ci schiaccia.
In questo modo saremo anche in grado di far emergere la saggezza inerente alla nostra vita per comprendere che azioni compiere nel concreto. Vogliamo parlare apertamente con quella persona? Abbiamo il desiderio di riallacciare i rapporti perché quell’amico o amica rappresenta un arricchimento per la nostra vita, o perché ci sentiamo soli? Più recitiamo Nam-myoho-renge-kyo sinceramente davanti al Gohonzon, più la risposta a questa domanda emergerà naturalmente dentro di noi. In ogni caso, indipendentemente da ciò che si decide di fare, è importante ricordare che:
«Le relazioni umane che intratteniamo sono per noi come uno specchio […] Dovete perciò essere voi a fare il primo passo per aprire i canali della comunicazione, dopo di che, se ancora persiste il rifiuto, non toccherà a voi dispiacervene ma al vostro amico. La complessità del cuore umano è grande e noi non possiamo leggere il cuore di un altro. Cosa fare allora? Vi consiglio di rafforzare la vostra vera identità con lo spirito “Gli altri possono anche cambiare, ma io rimarrò ciò che sono davvero”. Se vi capitasse di essere umiliati o abbandonati, determinate di non comportarvi anche voi così con qualcun altro. C’è del patetico in chi tradisce la fiducia altrui, perché è un modo per farsi del male da soli, piantandosi un chiodo nel cuore. E quel che è più triste è che le persone non se ne rendono neanche conto» (Amore e amicizia, Daisaku Ikeda, pag. 6)
Qualunque siano le caratteristiche di quella relazione, il maestro Ikeda ci incoraggia a non guardare l’altra persona, ma a concentrarci sulla nostra crescita personale. Chiedersi che tipo di responsabilità abbiamo nella conclusione di quel rapporto è funzionale solo se la risposta sarà poi utilizzata per la nostra crescita e sviluppo, per il rafforzamento della nostra identità. Al contrario, arrovellarci nella ricerca delle ragioni della conclusione di quella relazione solo per abbatterci e confermare quelle vocine nella testa che ci continuano a ripetere che non siamo abbastanza per essere amati così come siamo, è inutile e soprattutto nocivo per il nostro cuore.
Per quanto dolore possiamo provare ora, non permettiamo a questa sofferenza di inquinare il nostro cuore, ripartendo dalle parole di Sensei:
«Il punto sta nel creare un bel torrente di amicizia nella vostra vita mentre vi sforzate per veder tramutati in realtà i vostri rispettivi sogni, lottando e crescendo insieme, condividendo problemi e difficoltà, riuscendo sempre a incoraggiarvi e a sostenervi a vicenda. Se i vostri amici condividono i vostri stessi sentimenti sull’amicizia, allora è probabile che l’amicizia duri a lungo. Se invece decidono di cambiare, allora sarà di breve durata. Voi stessi potreste, senza volerlo, mancare di aiutare un amico, incrinando la relazione. Comunque vada, se un’amicizia finisce, non dovete sentirvi infelici. Non bisogna colpevolizzarsi pensando che un’amicizia debba per forza durare per sempre. L’importante è non dimenticare mai il vero significato dell’amicizia, facendone la base dei vostri incontri con gli altri. Nel Gosho Nichiren parla di “un amico nella stanza dell’orchidea”. Questa espressione significa che proprio come le orchidee in una stanza offrono la loro squisita fragranza a tutti coloro che entrano, noi dovremmo sforzarci di essere quel tipo di amico che ha un effetto positivo e incoraggiante sugli altri. Perciò occorre diventare prima di tutto un’orchidea. In Oriente l’orchidea simboleggia una persona dal carattere nobile. Vi chiedo quindi di sviluppare il vostro carattere in modo tale da emanare la stessa fragranza di una bella orchidea» (Ibidem, pag. 15)
Quando ero alle medie non avevo amici. I pochi che ogni tanto vedevo al di fuori dalle ore di lezione, quando eravamo a scuola mi bullizzavano, prendendosi gioco di me. Rimanevo spesso chiusa in bagno a piangere, mentre sentivo alcune ragazze ridere di me fuori dalla porta. Soffrivo tanto e mi sentivo profondamente sola. Una sofferenza che per diverso tempo mi fece pensare che nessuno sarebbe mai voluto diventare amico mio. Il maestro Ikeda ha riacceso in me una luce che non pensavo esistesse, così come i responsabili e i giovani del Gruppo futuro di cui allora ero membro, permettendomi di comprendere che non c’era nulla che non andasse in me. Da quel momento, recitando Nam-myoho-renge-kyo, mi ripromisi di comportarmi sempre come una buona amica, di non trattare mai nessuno con disprezzo, con arroganza e di non lasciare indietro mai nessuno. Decisi che tipo di amica volevo essere e che tipo di amicizie volevo attirare.
Nel corso degli anni la mia vita si è riempita di tantissimi buoni amici e amiche in ogni parte del mondo in cui mi sono trovata. Sono diventati la mia famiglia globale.
Molte sono anche le persone che adesso non sono più nella mia vita, il che a volte mi ferisce, quando il piccolo io prende il sopravvento e la mia tendenza nel credere che tutto dipenda dal fatto che “non valgo abbastanza” riemerge dal mio cuore. In quei momenti ridetermino di rispettare profondamente la mia vita e di non dimenticarmi chi sono. Più recito Nam-myoho-renge-kyo per rispettare e amare io per prima la persona che sono, per percepire con ogni fibra del mio essere il valore della mia vita, più quella sofferenza si scioglie e allora tutte le azioni che decido di compiere non sono più dettate dalla paura o dalle mie tendenze, ma dal puro desiderio di riallacciare dei rapporti sani e di crescita reciproca, in cui «l’amicizia non è un rapporto di dipendenza ma di indipendenza. È il forte legame che unisce individui che contano sulle loro forze, compagni che condividono lo stesso impegno in una dimensione spirituale. L’amicizia inoltre nasce dal modo in cui viviamo» (Ibidem, pag. 13)