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4 marzo 2025

Proteggere e sostenere i diritti delle donne in Afghanistan

Intervista a Massimo Angeli di Medici Senza Frontiere

Abbiamo intervistato Massimo Angeli di Medici Senza Frontiere per il progetto K.H.O.ST che si occupa di cure e trattamenti dedicati alle donne in età fertile e ai bambini in Afghanistan. Il progetto è finanziato con i fondi 8x1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

immagine di copertina
Massimo Angeli di Medici Senza Frontiere per il progetto K.H.O.ST

La situazione sanitaria delle donne in Afghanistan è grave, soprattutto per quanto riguarda la mortalità materna.
I numeri erano già allarmanti, si parla di circa 4.300 donne che ogni anno muoiono a causa di complicazioni durante la gravidanza e l'accesso alle cure è sempre più difficile, in alcune zone impossibile, a causa di un consistente aumento del costo dei trasporti, delle visite mediche, dei farmaci. I nostri operatori ci raccontano che alcune donne raggiungono l’ospedale in condizioni critiche e spesso quando arrivano è troppo tardi, anche perché dal 2023 c'è l'obbligo per le donne di avere un accompagnatore maschile anche per camminare per strada.

Il progetto si focalizza sulla salute sessuale e riproduttiva delle donne (SRH) e per fare questo fornisce servizi gratuiti di alta qualità per l'assistenza sanitaria, materna e pediatrica nella provincia di Khost, in Afghanistan. Medici Senza Frontiere gestisce un ospedale materno infantile, che accoglie i casi più gravi e complicati ma supporta anche otto centri dislocati nella provincia che sono più vicini alle donne e hanno un bacino di utenza di circa un milione di persone. Supportiamo questi centri attraverso le forniture mediche, attrezzature, ambulanze e formazione del personale.
I costi di un progetto del genere sono ingenti e in tal senso il contributo dei fondi 8x1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è stato fondamentale e si traduce nell’acquisto di medicine o macchinari come ad esempio l’ecografo. Inoltre, dal punto di vista delle risorse umane, grazie a questo contributo, possiamo coprire i costi di ostetriche formate e competenti, che rappresentano una risorsa estremamente preziosa non solo per il valore degli interventi erogati ma anche per ciò che possono poi trasmettere a tutta la comunità.
Grazie al progetto, in cui adottiamo un modello innovativo, riusciamo a valorizzare le donne afgane sia come pazienti ma anche in quanto operatrici sanitarie: infatti oltre il 90% del personale del nostro ospedale è composto da donne afgane. Attualmente non sono molte le realtà autorizzate ad assumere personale femminile e noi possiamo dare alle donne l’occasione di lavorare e ricevere una formazione.
Proprio perché ci sono centinaia di donne che lavorano nel nostro ospedale e nei centri dislocati, abbiamo potuto aprire un asilo nido in cui le madri accompagnano i bambini prima di iniziare a lavorare in ospedale… come potete immaginare questi servizi sono rari nel paese.

Abbiamo avuto interlocuzioni a più livelli, sia un accordo nazionale con il Ministero della salute pubblica afgano, sia un accordo specifico con il Dipartimento della salute pubblica della provincia di Khost.
In questo modo abbiamo creato un solido coordinamento a livello locale con le autorità e le strutture sanitarie, e abbiamo implementato una strategia di decentralizzazione che ha rafforzato i centri locali evitando di congestionare l’ospedale materno infantile che così si concentra a gestire i casi più gravi.
A livello di partner abbiamo stabilito collaborazioni informali con i leader delle comunità locali, che partecipano alle nostre riunioni per renderle luoghi di aggregazione e conoscenza del territorio.
Questo tipo di relazioni sono essenziali per il futuro perché avere un sostegno informale da parte della comunità locale di riferimento è una sicurezza per la durata e la sostenibilità del progetto stesso.

Molti dei nostri progetti sono situati in aree in conflitto. Il contesto è spesso caotico, instabile e ci troviamo a lavorare con grandi gruppi di persone in difficoltà.
Anche nelle zone più stabili, i carichi di lavoro e la vita in team possono essere fonte di stress.
Bisogna essere in grado di far fronte a un ambiente difficile e imprevedibile.
Proprio per queste ragioni, offriamo un servizio di stress management (gestione dello stress) agli operatori umanitari, prima, durante e dopo la missione.
Inoltre, per MSF è fondamentale la formazione delle persone che arrivano dall’estero e sicuramente c’è l’obiettivo di valorizzare sia le risorse assunte localmente sia quelle a livello internazionale, per lavorare in sinergia in modo efficiente ed efficace.
Per lavorare come operatore umanitario di MSF è necessario avere una buona capacità di resilienza ma anche un certo grado di adattabilità, flessibilità e capacità di problem solving in base al contesto specifico. Lo staff di MSF che rientra dall’Afghanistan riporta sempre di aver imparato tantissimo dalle donne, perché nonostante la loro vita sia molto difficile, sono animate da una grandissima forza.


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