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7 agosto 2023

Per sé. Per gli altri

La nostra felicità non esiste separata da quella degli altri. Aiutando gli altri a diventare felici, noi stessi siamo in grado di assaporare uno stato vitale indistruttibile

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Lo scopo della pratica buddista è diventare felici insieme agli altri.
Preoccuparsi solo della propria felicità è egoismo e curarsi solo di quella degli altri è ipocrisia.
Per questo Nichiren Daishonin afferma:

«Gioia significa che se stessi e gli altri insieme provano gioia» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 118, 50)

La nostra felicità non può prescindere da quella degli altri. In quanto praticanti buddisti, in quanto Bodhisattva della Terra, cerchiamo di agire basandoci sulla compassione: togliere sofferenza e dare gioia. L’azione del Bodhisattva di sostenere gli altri si manifesta nella nostra vita come coraggio, saggezza e compassione. Quando parliamo, preghiamo e agiamo per la felicità degli altri, combattiamo contro il nostro “sé egoista” e naturalmente manifestiamo la Buddità che esiste già dentro di noi.
Tsunesaburo Makiguchi diceva:

«Se solo credete e pregate, riceverete senza dubbio benefici. Ma questa non è la pratica del bodhisattva. Non esiste un Budda egoista che cerca benefici per sé e non si sforza di aiutare gli altri. A meno che non svolgiamo la pratica del bodhisattva, non possiamo diventare Budda» (La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, vol. 1, pag. 96)

La pratica per sé e la pratica per gli altri sono come due ruote di uno stesso asse, inseparabili. Infatti, dedicandoci agli altri, aiutandoli a tirare fuori coraggio e speranza dalle loro vite, anche la nostra forza vitale aumenta.
Tuttavia, quando soffriamo, tendiamo a chiuderci in noi stessi e pensiamo che non siamo in grado di sostenere gli altri. Ci chiediamo “come posso incoraggiare qualcuno se io per primo non mi sento felice?”.
La chiave sta proprio nel ribaltare questa visione e adoperarci per gli altri: in questo modo siamo in grado di rivitalizzare la nostra vita. Non aspettiamo di sentirci gioiosi per incoraggiare gli altri, così come non aspetteremmo di stare bene per farci visitare da un medico! È proprio perché ci sforziamo nel sostenere una persona dopo l’altra che il nostro stato vitale si alza e superiamo tutti gli ostacoli che si presentano nelle nostre vite. Le attività Soka, in questo senso, sono occasioni preziose per diventare felici. Scrive Daisaku Ikeda:

«Aiutando gli altri a diventare felici, noi stessi diventiamo felici. Questo è anche un principio psicologico. Come possono coloro che si dibattono nelle sofferenze dell’inferno e hanno perso il desiderio di vivere, trovare una via d’uscita? Se una persona pensa soltanto ai propri problemi, cadrà sempre più nella disperazione; andando invece da qualcuno che sta soffrendo a sua volta per dargli una mano, riacquisterà la volontà di vivere. Agire motivati dalla preoccupazione per gli altri ci permette di risanare la nostra stessa vita. Aiutando gli altri, aiutiamo noi stessi. Questo indica la non dualità dell’io e degli altri» (La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, vol. 3, pag. 209)

In poche parole, la pratica per gli altri è allo stesso tempo la pratica per sé.


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