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1 dicembre 2023

La solidarietà femminile è la chiave per abbattere le barriere

Intervista a Maria Nella Lippi, Oxfam Italia

La violenza contro donne e bambine è una tra le più diffuse violazioni dei diritti umani e non conosce confini geografici o culturali. Abbiamo intervistato Maria Nella Lippi, responsabile dell’area Giustizia di Genere di Oxfam Italia, su come contrastare e prevenire la violenza di genere garantendo alle donne pieni diritti ed eguali possibilità economiche, culturali e sociali

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Maria Nella Lippi, Responsabile dell’area Giustizia di Genere di Oxfam Italia, lavora sui Programmi in Italia e all’estero sviluppando progetti per la protezione dei diritti delle donne, delle persone LGBTQI+ e per il contrasto alla violenza di genere. Per la realizzazione di questi progetti, insieme al team della giustizia di genere collabora con una rete estesa di centri antiviolenza, centri antitratta, associazioni di donne e organizzazioni per la difesa dei diritti delle persone LGBTQI+. Le aree di intervento dei progetti della giustizia di genere sono l’Italia il Medio Oriente e il Nord Africa (MENA Region)

La violenza contro le donne è fra le più diffuse violazioni dei diritti umani, ma non riusciamo a uscirne. Su cosa bisogna lavorare per creare una cultura dove il rispetto delle bambine, delle ragazze e delle donne diventi la base della società? 

A oggi sono 106 le donne uccise nel 2023 nel nostro paese, queste cifre ci parlano di azioni concrete che dobbiamo mettere in campo per trasformare questo fenomeno pervasivo della nostra società coinvolgendo diversi livelli di responsabilità.
Un livello è quello istituzionale che deve essere gestito tramite l’aggiornamento di mezzi e lo stanziamento di finanziamenti costanti e cospicui alla società civile e alle associazioni antiviolenza. È un tema di responsabilità politica, riguarda la normativa e la gestione delle risorse.
Poi abbiamo il livello di responsabilità della società civile e dei sistemi di protezione pubblici preposti che intervengono nell’intercettare il problema e sono responsabili di proteggere le donne, le ragazze e le bambine che subiscono violenza. Fondamentale qui, è che la qualità della risposta di protezione sia efficace e pervasiva.
A questo livello intervengono anche i tribunali, le forze dell’ordine e tutti gli attori che devono essere messi in grado di operare al massimo dell’efficacia con una formazione continua affinché il fenomeno venga affrontato nel rispetto dei bisogni e della dignità di chi subisce la violenza. Per questo il personale deve essere formato per riconoscere il fenomeno e non negarlo, con il rischio di vittimizzazione secondare delle donne e dei loro bambini.
C’è poi un livello di responsabilità che riguarda i giovani ed in generale la comunità educante.
L’ultimo caso di cronaca riguarda una ragazza giovanissima e il suo fidanzato... Tantissimi rapporti testimoniano che la violenza entra nelle nuove generazioni e che non cambia in base al livello di istruzione e di reddito, e ciò dimostra come il patriarcato e l’abuso di potere sulle donne riguarda tutti e tutte.
Il tema, quindi, è l’educazione delle nuove generazioni, ma anche delle persone responsabili della loro formazione e crescita.
Un’educazione che abbia a che vedere con il rispetto del consenso, con l’accettazione e l’elaborazione delle proprie emozioni, che sia in linea con il principio del rispetto della libertà individuale e collettiva.
È importante che ci siano anche delle riforme a livello di scuola e di formazione, che venga inserita nei curricula didattici l’educazione all’affettività e alla sessualità, e che si lavori allo sradicamento degli stereotipi di genere perché sappiamo benissimo che stanno alla base del fenomeno.

Nella vostra esperienza e nei vostri interventi, come si intersecano i temi della povertà e dell’emarginazione sociale con quello della violenza di genere?

Come Oxfam lavoriamo in 70 Paesi del mondo. Collaboriamo con più di 100 organizzazioni guidate da donne e sistemi di protezione dalla violenza.
Dalle statistiche nazionali e internazionali emerge che una donna su tre ha subìto una forma di violenza di genere. Nel mondo ogni giorno 33.000 ragazze diventano spose prima di compiere la maggiore età e le bambine povere hanno più probabilità di diventare spose bambine. 
Solo in Italia sono 6.788.000 le donne che hanno subìto una forma di violenza di genere fisica o sessuale nel corso della loro vita. 
Persiste il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili e del mancato accesso alla salute sessuale e riproduttiva a livello globale, casi che si possono incontrare anche in Italia per il fenomeno delle migrazioni internazionali.
Lavorare su questi fenomeni pervasivi che impediscono alle bambine e alle ragazze di avere accesso ai loro diritti, a una vita di benessere, richiede un lavoro molto complesso e il coinvolgimento di diversi attori, quindi migliorare i servizi sociali e sanitari, l’assistenza medica, i consultori e la formazione delle comunità perché si riconoscano e prevengano queste forme di violenza.
Questo viene fatto attraverso risorse dedicate e il supporto di organizzazioni di donne che lavorano sia con i sistemi pubblici che con i servizi di protezione privati. Ma significa anche rafforzare la leadership e l’impegno delle donne e delle ragazze, coinvolgendo anche i ragazzi, un lavoro quindi sulla cultura, sull’educazione, che faciliti la leadership femminile. Questo comporta lavorare per cambiare il modo in cui le persone, le famiglie e le comunità percepiscono la violenza.
Promuoviamo campagne di mobilitazione politica e pubblica perché la percezione del fenomeno cambi, perché cambi la narrativa: dalla donna che “si deve proteggere” all’evidenziare che uomini e ragazzi devono cambiare i loro comportamenti riconoscendo una responsabilità soprattutto maschile. Questo è un lavoro molto importante.

Due donne su tre vivono nel silenzio le aggressioni che precedono il femminicidio. Cosa fare per aumentare la consapevolezza delle donne che spesso non riconoscono i segnali di una relazione violenta? 

Bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica, promuovere l’utilizzo del numero verde 1522 che indirizza al centro antiviolenza più vicino o alla richiesta di emergenza più adeguata al caso. 
Esistono canali alternativi alla denuncia alla polizia, in cui la donna può decidere gradualmente come affrontare la problematica senza per forza avere un impatto iniziale molto forte. Questi canali vanno promossi e il loro utilizzo va incentivato attraverso campagne di informazioni capillari.
Allo stesso tempo, non possiamo forzare le donne a denunciare o raccontare se non sono pronte a farlo, imporre la nostra volontà su di loro significherebbe perpetrare l’ennesima relazione di potere. Si giudica spesso la donna che non esce dalla relazione maltrattante, ma chi subisce violenza è in condizioni di sofferenza, di paura, isolamento, mancato accesso alle proprie risorse e libertà, quindi va rispettata. Noi (inteso come Istituzioni, Organizzazioni della società civile, comunità locale) dobbiamo far sentire che siamo vicine e che crediamo loro. 
Se la donna che subisce violenza in famiglia, dal partner viene messa in grado di comprendere che non è colpa sua, la responsabilità ricade su chi commette l’atto. Il danno non è dettato dalla condizione di vulnerabilità in cui si trova la vittima, ma dalla volontà dell’altro di approfittarsi di lei.
Perché in caso di violenza sessuale è importante parlare? Per ricevere un supporto psicologico e una visita ginecologica che garantisca la sicurezza fisica dalle trasmissioni di malattie sessuali o gravidanze indesiderate.
Inoltre raccontare serve a proteggere altre donne, perché chi ha fatto del male a me sicuramente non lo fa per la prima volta, né sarà l’ultima. 
Rassicurare la vittima di violenza che non è successo solo a lei la fa sentire meno sola. Purtroppo viviamo in un sistema che condanna la donna a priori, perché non si è protetta, ha bevuto, era vestita in un certo modo... e così avremo sempre una narrativa che disincentiva alla difesa dei diritti delle donne e continua a promuovere una società in cui il potere maschile è protetto.
Gli uomini o i giovani che commettono i crimini raramente sono persone che hanno una malattia mentale, piuttosto agiscono sulla base di regole sociali ben chiare, in cui c’è un potere che subordina il ruolo della donna al benessere e al piacere maschile. Interpretano un modello diffuso. E quindi ovviamente c’è una responsabilità che avrà delle ripercussioni a livello penale e ci deve essere la certezza della pena per i perpetratori di violenza. Allo stesso tempo, quello che si può fare è lavorare sulla prevenzione attraverso campagne di educazione per aiutare i bambini e le bambine al superamento degli stereotipi di genere e alla libertà, alle pari opportunità. Il peso del superamento della violenza non deve essere solo sulle spalle delle nuove generazioni, le formazioni di prevenzione e contrasto alla violenza andrebbero promosse in tutti gli ambiti (lavorativo con diverse responsabilità a seconda del ruolo e del settore di intervento, associativo, comunitario).

Cosa si può fare in famiglia per prevenire la violenza di genere? Quale può essere il ruolo della scuola, dell’educazione nella creazione di una cultura del rispetto reciproco? 

Gli stereotipi di genere ci vengono trasmessi fin dalla più tenera età. Da quando siamo piccolissimi veniamo incanalati, se nasciamo maschi in una certa direzione, se femmine in un’altra. I giochi per i maschi indirizzano verso una realizzazione esterna alla sfera domestica, i giochi per le femmine indirizzano nella maggior parte dei casi alla sfera domestica, quindi la cura dei bambini, tenere la cucina, la pulizia ecc.
Già in questa divisione, veniamo orientati a certi ruoli che poi saranno performance sociali che danno potere all’uno e meno potere all’altra. Il che significa che le bambine, essendo relegate alla sfera domestica o alla sfera del lavoro di cura, avranno stipendi inferiori, minore accesso al potere politico ed economico, e spesso vivranno una condizione di dipendenza dall’uomo che invece guadagnerà molto di più. Ecco, già in questo tipo di suddivisione dei ruoli vediamo una fortissima disuguaglianza che può portare a una dipendenza e a forme di ingiustizia sociale.
Si stima che il 70% del tempo di cura come tenere i figli, i genitori anziani o i lavori domestici sia sulle spalle delle donne, è un lavoro invisibile non retribuito. 
È significativo che durante la pandemia fino all’80% delle dimissioni e licenziamenti siano stati a scapito delle donne perché avevano contratti più deboli, e tutto il lavoro di cura in caso di pandemia ricadeva su di loro.
Sono dettagli sociali molto forti sulla condizione femminile nell’Italia del 2023 e per questo aziende, sindacati e istituzioni devono lavorare per garantire davvero le pari opportunità in ambito lavorativo per tutte le donne.
I genitori hanno un grandissimo potere nell’educare i figli alle pari opportunità, alla scelta consapevole e libera sia nei giochi sia nell’accesso agli studi e nell’indirizzare i loro talenti.
È fondamentale coltivare un equilibrio affinché anche un bambino possa svolgere lavori di cura o domestici, perché magari un giorno sarà un padre… Tenere un bambolotto in braccio non è disdicevole! 
In questo senso è fondamentale il ruolo delle famiglie. E poi, ovviamente, lavorare perché l’ambiente scolastico sia inclusivo e promuova le pari opportunità. Anche questo è un lavoro molto importante. 
Oxfam lavora per diffondere nelle scuole la cultura della parità di genere, forma i docenti e le docenti perché preparino curricula scolastici inclusivi, che abbattano gli stereotipi di genere, prevengano i discorsi d’odio e favoriscano la libera espressione dei talenti e supporti insegnanti nella promozione di una educazione all’affettività per i giovani e le giovani.
Un altro impegno che portiamo avanti come Oxfam è prevenire e contrastare le molestie sul luogo di lavoro perché, come sappiamo, chi subisce molestie, abuso, discriminazioni sul luogo di lavoro al 90% sono donne. È il tema del “soffitto di cristallo”, per cui le donne fanno fatica ad accedere a posizioni di potere o di leadership all’interno del lavoro creando ambienti di lavoro che considerino e siano rispettosi dei loro bisogni e necessità. Prevenire e contrastare le molestie in ambito lavorativo significa intercettare un tema ancora sommerso e molto diffuso in ambito lavorativo, che ha radici profonde a livello sociale e culturale.
Quindi, come Oxfam, lavoriamo anche per creare sistemi di tutela e salvaguardia all’interno dei posti di lavoro, perché siano sensibili alle questioni di genere e ci sia un canale predisposto dove si possa fare una segnalazione qualora si verifichi una molestia, un abuso, una violenza, e ci sia una cultura tolleranza zero a questo fenomeno.

Spesso le donne che subiscono violenza hanno profonda sfiducia in se stesse. Come donne cosa dobbiamo sviluppare per riuscire a rompere la spirale della violenza che ha radici millenarie? 

La prima cosa è essere consapevoli dei nostri diritti, quali sono le leggi che devo conoscere in ambito lavorativo, familiare e relazionale che mi tutelano. È fondamentale la conoscenza, la consapevolezza. Quali sono i miei diritti? Cosa devo sapere, quali sono le leggi in ambito lavorativo, familiare, in ambito relazionale che mi tutelano e mi proteggono?
Essere a conoscenza dei meccanismi che animano la nostra società, che ci mettono spesso in una condizione di subordinazione.
Un altro aspetto molto importante è quello che io chiamo la “sorellanza”.
Alle ragazze e alle donne con cui entro in contatto attraverso i progetti dico: “non è successo solo a te. Non sei da sola, è successo a tantissime donne. Una donna su tre ha subito violenza, è un fenomeno pervasivo”. 
È molto importante la solidarietà femminile. Le donne e le ragazze spesso sono educate alla competizione e non alla collaborazione, per il sistema patriarcale unite tutte insieme siamo pericolose perché possiamo portare avanti un modello di condivisione del potere che è diverso. Quindi il tema della solidarietà femminile, della collaborazione tra donne è fondamentale e bisogna educare i bambini e le bambine a questo tipo di cultura. 
Inoltre, se siamo testimoni di casi di molestie, di violenza, di abuso, abbiamo il dovere di denunciare, di segnalare ai canali preposti. 
È comprensibile che la persona che subisce violenza rimanga in silenzio perché ha paura, perché è confusa, perché ha subìto un danno. Ma chi è testimone deve parlare, deve intervenire. Ovviamente non a caso, ma con i canali preposti alla tutela e alla salvaguardia delle persone, con saggezza.
Quello della sfiducia è un tema molto grande che va affidato al lavoro prezioso dei centri antiviolenza perché il lavoro di ricostruzione dell’identità avviene attraverso un percorso psicologico e sociale, con azioni per ricostruire un senso di sicurezza e con la presenza di personale formato che sta vicino alle decisioni e ai bisogni espressi dalla persona che ha subito violenza. 
Se non mi sento al sicuro non avrò neanche il tempo fisico e psicologico per sentirmi forte. In realtà chi è vittima di violenza è una persona molto forte perché è sopravvissuta, ha in sé caratteristiche di forza, di resilienza e un potenziale molto grande per poter continuare ad andare avanti. 

In che modo è cambiato nel tempo o sta cambiando il fenomeno della violenza di genere?

È un fenomeno antichissimo, molto pervasivo ed esiste da sempre. Negli ultimi anni ha spostato il tiro su spazi diversi. 
Non si svolge più solo nella sfera domestica ma invade le piattaforme online e raggiunge forme pervasive a livello di comunicazione di massa. 
Inoltre con le migrazioni a livello globale assistiamo a forme di violenza che riguardano l’arrivo di donne, bambine e ragazze che hanno subìto mutilazioni genitali, matrimoni precoci, forme di tortura e dobbiamo aggiornare la nostra normativa affinché si prendano in considerazione i loro bisogni e peculiarità. Per disporre un adeguato supporto specifico. 
Oggi dobbiamo considerare che la violenza ha declinazioni e forme diverse. Anche per quanto riguarda i discorsi di odio, la discriminazione e gli abusi verso le persone LGBTQI+.
Sicuramente si può affermare che i giovani raccontano e denunciano di più. Quindi c’è sicuramente una maggiore consapevolezza e capacità di riconoscere il fenomeno.

C’è un’esperienza particolarmente significativa che vorrebbe condividere?

Ho conosciuto una ragazza nigeriana di circa venti anni, ospitata in un centro d’accoglienza con il suo fidanzato. Riportò più volte agli operatori che il fidanzato la picchiava, ma poi ritrattava tutto.
Quando sono emersi degli ematomi e dei segni fisici è stata portata subito in un centro di accoglienza di Oxfam e in un secondo momento è stata trasferita in una struttura protetta a indirizzo segreto della rete antitratta. Infatti, durante una serie di colloqui ha rivelato non soltanto di essere stata vittima di violenza domestica ma di essere anche stata costretta alla prostituzione dal suo partner. 
Aveva paura di essere trovata e uccisa, ma era anche triste e arrabbiata perché si era resa conto di essere lei a dover lasciare la sua casa, il suo cellulare, era lei in prigione...
Ha riferito anche di tante ragazze che non avevano mai parlato. Ci ha raccontato di aver trovato il coraggio di raccontare perché in Nigeria era una calciatrice e nello sport aveva imparato a non arrendersi nelle avversità che la vita le ha messo davanti. In qualsiasi condizione la partita continua. È stato commovente.
Ci sono delle esperienze nella vita che ci educano e in seguito ci danno la forza nei momenti di dolore, di trauma, di violenza. Le opportunità che ci vengono date quando siamo piccoli poi le ritroviamo come strumenti per affrontare la vita. In seguito lei ha potuto studiare e adesso lavora. Sta facendo la vita che voleva.

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