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21 agosto 2024

La scrittura, strumento di trasformazione

Intervista a Catia Proietti, scrittrice

Catia ha una passione per la lettura da quando è piccola. Praticando il Buddismo e attraverso il legame con il maestro Ikeda ha trovato il coraggio di realizzare il suo sogno: scrivere per dare voce alle storie di periferia e innescare il desiderio di trasformazione nei giovani che la leggono

immagine di copertina

Come hai iniziato a scrivere e come sei riuscita a rendere questo tuo obiettivo una realtà?

Il mio amore per la scrittura nasce dal mio amore per la lettura, da quando a sei anni ho scoperto la magia delle parole, delle frasi e delle storie… di questo mondo affascinante in continuo divenire… Da allora non c’è un giorno della mia vita in cui io non mi sia dedicata alla lettura. E questo grande amore naturalmente ha nutrito la mia fantasia, il mio desiderio di inventare nuove storie. Tanto che a nove anni ho chiesto a Babbo Natale la macchina da scrivere!
Tuttavia non avevo mai avuto il coraggio di perseguire concretamente il mio sogno, perché nasco come una ragazzina timida, introversa e insicura. E invece scrivere richiede il coraggio di esporsi, si scrive per essere letti, e io questo coraggio non l'ho avuto fino a quando non ho incontrato il Buddismo, a quarant’anni. Chi mi ha introdotta alla pratica mi ha incoraggiata a pormi un obiettivo e io ho voluto sfidare il Gohonzon e ho cominciato a recitare Daimoku per scrivere… così il mondo intorno a me ha cominciato a muoversi in quella direzione, ad esempio mio marito ha capito quanto fosse importante per me e mi ha regalato il mio primo corso di sceneggiatura: un altro modo per vivere le storie.
Pian piano ho cominciato a studiare, non era più soltanto il desiderio di buttare giù delle emozioni, ma di costruire delle storie. Recitando Daimoku ho cominciato ad acquisire sicurezza, a sentirmi più forte.
Il Buddismo mi ha dato il coraggio di aprire questa strada nella mia vita.

E una volta aperta questa porta cosa hai fatto, come hai costruito la strada?

Non avevo idea di come funzionasse il mondo editoriale, per cui mi sono messa sulla lista degli editori e ho cominciato a inviare il mio primo romanzo, che è ambientato nel quartiere in cui vivo, San Basilio a Roma.
Sentivo la necessità di parlare ai giovani. Mi definisco una scrittrice di periferia perché amo raccontare la vita delle persone comuni, tutti i miei romanzi sono ambientati in situazioni di periferia nelle quali si fatica a vivere. La frase che mi accompagna sempre e che cito anche nell'ultimo libro è questa:

«Non ci sono terre pure o terre impure di per sé, la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente» (RSND, 1, 4)

Nel quartiere vivevo una situazione di grande difficoltà, vedevo ragazzini spacciare con le biciclette e non riuscivo a capacitarmi di come questa realtà fosse sotto gli occhi di tutti ma nessuno potesse fare nulla. I miei figli avevano la stessa età, quattordici anni, quindi desideravo poter parlare con questi ragazzi.

Così è nato il tuo primo romanzo, Da ora in poi, che si può definire un romanzo di formazione. Perché questo titolo?

Ricordo che dicevo che quel libro segnava il mio inizio, ma il mio desiderio era che diventasse il “da ora in poi” di tanti ragazzi. Volevo trasmettere loro che il pregiudizio più grande è quello che nutriamo nei confronti di noi stessi.
Sono figlia di operai e io stessa pensavo di non potermi concedere di realizzare i miei sogni.
Il protagonista, Claudio, è uno spacciatore di borgata, il padre lo utilizza per spacciare, ma lui ha un sogno, diventare uno skater… dice “io a San Basilio non ci voglio morire”, esprime il bisogno di rompere un pregiudizio e cambiare la realtà. Nel libro faccio riferimento alla novella di Verga Rosso Malpelo, e anche per questo ha cominciato a girare tra gli insegnanti ed è stato adottato in tante scuole.
Da lì ho partecipato a dei concorsi letterari, una piccola casa editrice mi ha cercata.
Mi sono trovata a lavorare bene con loro e abbiamo percorso questa strada insieme, di crescita e di valore.
Pochi giorni dopo ho firmato il contratto per il prossimo libro e sono molto contenta.

Si può affermare che la tua è una scrittura attiva, fatta di relazioni e di confronto con ragazzi, insegnanti e con le varie realtà del territorio. In che modo questa rete di relazioni nutre la tua scrittura?

Quando entro in una scuola, quando collaboro con le insegnanti, i genitori e i ragazzi, cerco di mettere in pratica tutto quello che il mio maestro Daisaku Ikeda mi ha insegnato.
Cerco di considerare la persona che ho di fronte come un tesoro prezioso e cerco di instaurare una relazione che sia unica. Anche se è un incontro nell'aula magna di un liceo, mi fermo sulla porta e saluto tutti uno per uno, chiedo come stanno. Faccio trovare su ogni sedia un cartoncino a forma di farfalla e poi chiedo loro di scrivere in modo anonimo il loro messaggio al mondo.
Generalmente hanno letto il libro con le insegnanti e hanno sempre un sacco di domande da farmi. Su quelle farfalle ho trovato di tutto, alcune sono scritte fitte, magari qualcuno racconta la separazione dei genitori, atti di bullismo subìti, pensieri di morte.
Raccolgo tutti questi messaggi al mondo e poi, leggendoli insieme, a volte ci facciamo grandi risate... Una volta un ragazzo sulla sua farfalla ha scritto: «Io sono come Claudio, da ora in poi farò qualcosa di diverso».
Mi sono commossa perché questo è il vero motivo per cui ho cominciato a scrivere, essere strumento di una trasformazione, catalizzare la decisione di un cambiamento nelle loro vite.

Nei tuoi libri affronti spesso tematiche sociali. In che modo ritieni che la scrittura possa trasformare il mondo?

La nostra Costituzione afferma che ognuno deve avere le stesse possibilità, invece io vedo l'ingiustizia sociale, vedo tantissime differenze entrando nelle scuole.
Credo fortemente nella partecipazione, cioè nel momento in cui ci alziamo da soli poi scopriamo che non siamo soli, siamo tanti. Ed è lì che nasce la trasformazione, nel momento in cui io divento consapevole di chi sono e del mio ruolo nella società.
Io stessa quando ho cominciato a praticare il Buddismo, il desiderio del mio piccolo io era “voglio fare la scrittrice”, ma poi ho sperimentato che cosa significava muovermi in un contesto più ampio, che tipo di messaggio poteva arrivare. E tutto questo è nato a partire dal mio sentire, portando il mio cuore.
Non è tanto importante il progetto libro quanto la rete di valore che si costruisce intorno, con tanti insegnanti, genitori, ragazzi e ragazze… Siamo diventati persone che camminano insieme.
Spesso chiedo loro di scrivere affinché possano vivere la scrittura non come un elaborato da giudicare ma come un’esperienza di riflessione su se stessi per scoprire che la scrittura può essere un modo per riflettere su quello che sto vivendo, per snodare questo gomitolo di emozioni che ho nel cuore, e questo lavoro mi porta a un risultato, a sbrogliare la matassa di emozioni.
Anche la lettura è fondamentale, perché è una dimensione totalmente diversa dai social, la lettura ti dà un tempo di riflessione e di introspezione molto più profonda rispetto ai mezzi con cui solitamente ci esprimiamo.

Quanto è importante per te trasmettere speranza?

C'è un libro del maestro Ikeda per me illuminante, La speranza è una scelta, è la mia guida.
I ragazzi spesso mi chiedono: ma tu ci credi per davvero? Tu ci credi sul serio che noi possiamo cambiare il mondo? Ed è anche la domanda che spesso mi rivolgono i miei figli.
Perciò, quando Ikeda mi dice che la speranza è una scelta, mi dà lo strumento per rispondere a questi giovani. Speranza è una scelta significa che io ho la possibilità di agire, ho la possibilità di costruire. Non è qualcosa di evanescente, non è illusione, è determinazione, desiderio di creare un percorso ed è nel fare che io trovo l'energia per capire profondamente cos'è la speranza. E allora mi diverto, allora è vita vissuta e la speranza non è più illusione.

Cosa consiglieresti a una persona che sente il desiderio di scrivere ma, come spesso accade, si sente inadeguata?

Consiglierei di pensare sempre che sei un essere in divenire, cioè non pensare che il punto in cui sei è un punto di arrivo: è il punto di partenza, prendi il bagaglio che hai, chi sei adesso, da dove stai partendo, cosa senti dentro di te, e con quello comincia il tuo viaggio, consapevole che è un viaggio…
Uno degli errori che facciamo con i ragazzi è pretendere da loro il massimo della performance. Devi essere il primo a scuola, se fai musica o sport devi essere il migliore... Invece io credo che bisogna imparare a vedersi come degli esseri in divenire, accettare di cadere, di sbagliare, di tornare indietro, di prendere un'altra strada e di godersi il viaggio.
Ogni volta bisogna mettersi in discussione e accettare di sbagliare, vedersi come esseri in divenire, mai definiti.
Per scrivere inoltre bisogna avere un grande amore per l’essere umano, ascoltare tanto e guardare tantissimo. E poi bisogna continuare a studiare e a leggere, per trovare il proprio stile narrativo, per poter dire “questo è quello che piace a me”, proprio come fa un musicista quando ascolta altri esecutori per trovare il proprio modo di esprimersi…

A volte propongo ai ragazzi questo esercizio di scrittura:

“Racconta in prima persona un episodio della tua vita che ti ha fatto male, qualcosa che ti ha fatto soffrire”.
E poi, messo per iscritto, un esercizio molto efficace è metterlo in terza persona e trasformarlo in una storia di altri, e giocarci su. Ad esempio, facendo in modo che il nuovo protagonista risponda in modo diverso alla situazione, sperimentare attraverso questo personaggio come essere altro e cambiare il finale della tua storia. E tu, lo farai? O lo hai già fatto? Facci sapere...Se ti va, inviaci le tue riflessioni su nuovo.rinascimento@sgi-italia.org

Hai mai scritto un testo raccontando un episodio della tua vita che ti ha fatto soffrire?

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