Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

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1 maggio 2018

La Buddità abbraccia le differenze

Antonello Dose, Roma

«Dall'esempio del mio maestro ho capito che l'unica cosa importante è la decisione di incoraggiare la persona che si ha davanti. Ognuno lo può fare dove si trova, come può, con le sue caratteristiche». Antonello pratica dal 1990. È conduttore su Radio Due della trasmissione Il ruggito del coniglio, si impegna su vari fronti sia artistici che sociali

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«Dall'esempio del mio maestro ho capito che l'unica cosa importante è la decisione di incoraggiare la persona che si ha davanti. Ognuno lo può fare dove si trova, come può, con le sue caratteristiche». Antonello pratica dal 1990. È conduttore su Radio Due della trasmissione Il ruggito del coniglio, si impegna su vari fronti sia artistici che sociali

Come è iniziato il tuo percorso con la pratica buddista e quanto ha influenzato la tua avventura radiofonica?

Ho iniziato a praticare il Buddismo perché volevo salvare la vita al mio primo grande amore che era malato, in seguito ho scoperto di essere sieropositivo, poi ho avuto una relazione con una persona che ha iniziato a praticare e realizzato delle cose importanti nella ricerca scientifica contro l'HIV/AIDS. Non ho mai pregato per avere successo, è arrivato da solo. Grazie alla pratica buddista ho avuto l'opportunità di fare un lavoro in cui devo essere ottimista, allegro e incoraggiare tutti anche se il più delle volte sono gli ascoltatori che incoraggiano me. Recentemente si è scoperto che per conservare il sistema immunitario in buona salute, è fondamentale mantenere un atteggiamento positivo. Vivo in un circolo virtuoso di benefici. Oggi mi ritrovo a dire: «Che fortuna aver avuto così tanti problemi!». Da ventitré anni ho un pubblico radiofonico che mi ascolta ridere e scherzare. Solo ultimamente ho cercato di raccontare che non sono solo questo, ma ho anche difficoltà e preoccupazioni, come tutti. Parlare pubblicamente con sincerità è stato un espediente per provare a trasmettere la forza dei princìpi e della pratica buddista. Un anno fa, per questo, ho scritto un libro.

C'è qualcosa di fondamentale che vorresti condividere con i nostri lettori?

Grazie alla pratica buddista e all'attività per gli altri, che ho potuto vivere nella Soka Gakkai, ho scoperto che con i miei problemi e con quelli che consideravo difetti (ora le chiamo "caratteristiche") è possibile creare valore. Le mie problematiche erano serie: nascondevo il fatto di essere gay, ero una persona molto emotiva e questo mi causava problemi di interazione con gli altri. Era molto faticoso. Oggi, invece, ho una vita bella e questo mi riempie di gioia, perché dimostra che la pratica buddista funziona. Basta mettere in pratica quello che scrive Nichiren Daishonin nel Gosho e ciò che spiega Ikeda nei suoi scritti. Da quando ho dichiarato pubblicamente di essere buddista, sento molto di più la responsabilità di comportarmi in modo coerente con questo insegnamento. Aver dichiarato di essere gay ha fatto sì che in molti si siano aperti con me, fuori e dentro la Soka Gakkai, grazie alle attività Arcobalena, dove le persone LGBT [sigla utilizzata per riferirsi a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, n.d.r.] che praticano il Buddismo possono condividere, se vogliono, le loro esperienze di fede. Ho imparato sulla mia pelle che se mi chiudo, se mi nascondo, l'ambiente sente che qualcosa non va. Se invece vivi in modo coraggioso, l'ambiente ti rispetta. La Buddità è profonda e abbraccia ogni tipo di differenza. Il Daishonin scrive: «Non devono esserci discriminazioni tra coloro che propagano i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo, siano essi uomini o donne: se non fossero Bodhisattva della Terra, non potrebbero recitare il Daimoku» (RSND, 1, 341). Credo, inoltre, che avere fede significhi andare prima possibile davanti al Gohonzon quando si desidera risolvere un problema o realizzare un desiderio, per sé e per gli altri.

Come ti ispira la relazione maestro e discepolo?

Ho avuto la fortuna di incontrare sensei a Milano, nel 1994. Nei momenti difficili della vita mi sono chiesto spesso come fa il presidente Ikeda a essere sempre così tranquillo ed empatico quando incontra capi di Stato o personalità della cultura di tutto il mondo. Dal suo esempio mi sembra di aver capito che una cosa importante è la decisione di incoraggiare la singola persona che hai davanti. Ognuno lo può fare dove si trova, come può, con le sue caratteristiche. «Voleva rendere felice ogni persona che incontrava» (BS, 185, 7) dice Ikeda parlando di Nichiren Daishonin. È un'azione potente che ti fa tirare fuori capacità che neanche immaginiamo di avere. Avere lo stato vitale alto, negli anni, è diventata quasi una mia "cifra stilistica".

Cosa diresti a un giovane che cerca la sua strada?

Direi: «Sei unico, meraviglioso e hai una grande missione». John, un compagno di fede americano, mi ha raccontato che quando era giovane, insieme ad altri amici ha incontrato il presidente Ikeda in viaggio negli Stati Uniti. Lo hanno salutato da lontano e lui, rompendo tutti i protocolli, li ha raggiunti e ha dedicato loro del tempo per conoscerli, uno a uno. Di questo incontro, il mio amico ha detto che ricorderà per sempre lo sguardo diretto di sensei che in quel momento lo ha fatto sentire "la persona più importante del mondo". Questo episodio mi fa pensare a quello che dovremmo cercare di fare tutti: far sentire ognuno prezioso e pieno di valore. Credo che questo sia l'incoraggiamento di cui hanno più bisogno i giovani. I giovani devono avere la possibilità di esprimere il loro potenziale: questa è una ricchezza incredibile per la società intera. Avere grandi scopi e sforzarsi di realizzarli è ciò che ci fa sentire vivi e dà senso alla vita. Per me è stato l'obiettivo di kosen-rufu, il grande sogno della pace dell'umanità che mi è stato trasmesso dal mio maestro Ikeda. Ho sperimentato che la preghiera che include la felicità degli altri è potente. Se è solo per se stessi, la preghiera è debole.

Come hai affrontato il successo alla luce dell'insegnamento buddista?

Sensei lo spiega molto bene: il successo è un'illusione. Puoi guadagnare tanti soldi, ma stare male perché ti senti solo. Oppure cominci a sentirti "speciale" e allora smetti di essere te stesso. È bello ricevere affetto e regali dal pubblico, ma è meglio non identificarsi con quello status perché può tirarti fuori l'arroganza. Ho avuto tanta buona fortuna dal punto di vista economico, tanto che a quarant'anni ho potuto comprarmi una casa senza mutuo e senza aiuti familiari. Ora so che questa fortuna, che continua in modo sorprendente, viene dal fatto di praticare il Buddismo con impegno costante. Mi alzo alle 5,30 per essere in onda alle 7,45. La mia giornata è scandita "dalla diretta", il lavoro in redazione e a casa, l'attività buddista, mio marito Fabrizio, la famiglia, i vicini, gli amici. Se ci penso mi dico: «Non ce la faccio», ma affronto ogni giorno recitando Daimoku. Recito Nam-myoho-renge-kyo finché sento che posso riuscire a fare tutto e trasmettere gioia in quello che faccio. Se riesco a portare un "clima" di buon umore nel lavoro, le persone si sentono a loro agio e sono tranquille nel raccontare alla radio le loro bellissime esperienze di vita. Credo che non sia necessario diventare perfetti, ma fare del nostro meglio. Se ci metti il cuore il pubblico lo sente.

Che progetti hai per il futuro?

Dopo l'esperienza del libro ho ricevuto tanti messaggi di ringraziamento, cosa che mi ha un po' frastornato. Ultimamente sono più attento a quello che succede nella nostra epoca: migrazioni, problema ambientale, disarmo nucleare, mutamenti climatici. Se la salute mi regge, vorrei contribuire a fare qualcosa di utile per le generazioni future, per il mio Paese, per i compagni di fede e per la comunità LGBT, incoraggiare quante più persone possibile sul fatto che la vita è meravigliosa ed è un peccato sprecarla. Vorrei continuare a vincere con e per sensei.
Nell'editoriale di gennaio 2017 il presidente Ikeda scrive: «Desidero confermare ancora una volta insieme a voi un punto essenziale: fare un Gongyo fresco e rigenerante, un Gongyo vigoroso che possa far sgorgare una traboccante forza vitale. [...] Facendo Gongyo con tutto il nostro essere possiamo far risplendere immediatamente il sole della Buddità che brilla intrinsecamente nella nostra vita dal tempo senza inizio» (NR, 597, 4).
E io voglio vivere così.

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