Come hai iniziato a praticare il Buddismo?
Ho iniziato grazie alla determinazione di mio fratello Guido. Io ero molto scettica, ma lui continuava a invitarmi alle riunioni e alla fine ci sono andata. Mi colpì moltissimo la generosità e l’apertura delle persone, quel voler trasmettere qualcosa della propria vita agli altri…
Un anno dopo ricevetti il Gohonzon e proprio la sera prima venne a mancare mio padre. Ero molto grata di aver potuto accompagnare mio padre con il Daimoku fino all'ultimo respiro. Tanti princìpi del Buddismo ancora non li conoscevo, ma ho sentito l'eternità della vita, il flusso continuo dell’esistenza che non inizia e non finisce…
Da allora ogni giorno determino di non smettere mai di praticare perché so che la mia tendenza è la distrazione, sono molto curiosa e c'è sempre qualcosa che mi attrae, ma il Buddismo mi ha dato un metodo, una disciplina, e soprattutto mi ha permesso di sdoganare la parola “felicità”.
“Felicità” nel senso completo di pace e sicurezza, di realizzazione esistenziale. Culturalmente non ci siamo abituati, pensiamo che la felicità sia ottenere qualcosa dall’esterno, ma invece è una condizione che possiamo raggiungere internamente. Ecco, questo è l'elemento più rivoluzionario, il più difficile perché siamo sempre immersi nel grande frullatore dell'esistenza, in questo momento poi abbiamo la guerra alle porte e diventa ancora più importante cogliere questo diritto inalienabile che tutti noi abbiamo di essere felici, e impegnarci strenuamente per risvegliare in tutte le persone questa consapevolezza, questo desiderio di felicità.
Qual è l’origine della tua relazione con il maestro?
Quando ho iniziato a leggere La nuova rivoluzione umana ho cominciato a sentire con forza la relazione con Sensei, come se ci conoscessimo personalmente. E lì ho cominciato a sviluppare una gratitudine immensa per tutto ciò che ha fatto per consegnarci questa consapevolezza che la felicità è un nostro diritto, per tutto ciò che ha scritto instancabilmente, per insegnarci che tutti i conflitti hanno una soluzione, perché prima di arrivare alla sconfitta totale, che è la guerra, l'annientamento dell'altro, ci sono tanti momenti in cui le persone possono trovare una mediazione, una conciliazione, una possibilità di ascolto.
Questa visione del mondo e delle relazioni che Sensei ci ha lasciato ha avuto un impatto colossale sulla mia vita.
Ho sempre fatto attività politica, per la giustizia sociale, per l'inclusione ... ma sempre basandomi sul contrasto bianco/nero, quindi non c'era una vera possibilità di soluzione del conflitto. Il Buddismo invece mi ha aperto un'altra via per poter affrontare le stesse problematiche da un altro punto di vista. E la chiave è la trasformazione di me stessa.
Perché se è vero che abbiamo scelto il nostro "karma appropriato", allora tutte le difficoltà che incontriamo sono le "circostanze appropriate" per arrivare al nostro obiettivo. Non c'è nulla da scartare, nulla da giudicare ma semplicemente tutto da utilizzare e da affrontare, perché proprio lì dentro c'è la chiave per raggiungere la Buddità.
Sensei non ha fatto altro che dirci: "alzatevi", il "vostro ruggito di leone è ciò che serve". Lui ci sarà sempre, perché tutto ciò che è riuscito a esprimere e a lasciarci come materiale su cui lavorare è dentro di noi e so che questa relazione potrà solo continuare a crescere.
Quando è venuto a mancare, da una parte ho provato un grande dolore ma dall'altra ho pensato "adesso sta veramente a me, è arrivato il momento di fare sul serio". Non c’è più l'alibi che in fondo tanto ci pensa lui, adesso devo proprio pensarci io, e più "ci penso io", più faccio grande il mio maestro.
Sei stata ideatrice e direttrice per quindici anni del Festa d'Africa - Festival Internazionale delle Culture dell'Africa Contemporanea che ha avuto riconoscimenti importanti, tra cui la medaglia da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Come è nato quel progetto?
Per me sono sempre state di grandissima ispirazione le Proposte di pace del presidente Ikeda. È pazzesco come Sensei riesca a fotografare la realtà con una visione così lucida, ampia e lungimirante, nessun governante riesce ad avere questo tipo di visione.
Nel fare arte sono sempre spinta dal desiderio di comunicare con le persone, vorrei che lo spettatore uscisse diverso da come è entrato, che in quel tempo che passiamo insieme avesse la possibilità di riflettere e di fare un percorso di trasformazione.
Così, mentre da una parte lavoravo come attrice per i teatri nazionali, dall'altra ho sempre portato avanti la mia "linea poetica" che rispondeva al bisogno di affrontare tematiche cruciali, quelle più crude, per offrire l'opportunità di vedere le cose da un punto di vista diverso.
In questo senso il Buddismo è stato determinante nella mia vita: non si tratta di individuare vittime e carnefici, piuttosto questa criticità, questo dolore che esiste lo affronto con la consapevolezza che c'è anche la soluzione. Spesso il risultato è sorprendente perché non sappiamo di avere le soluzioni a portata di mano, così come ignoriamo che la felicità sta dentro di noi.
Festa d'Africa Festival è stata un'esperienza da un certo punto di vista rivoluzionaria: quindici anni di arte e cultura del continente africano, teatro, danza, pittura, cinema, scultura… Gli artisti che sono arrivati a Roma per confrontarsi alla pari con altre culture sono stati un'enormità, un’esperienza che andava ben oltre la mediazione delle ONG perché era un rapporto umano diretto. E ciò ha generato negli anni una trasformazione importante di approccio culturale, di pensiero, di punti di vista, una ricchezza di relazioni e nuove dimensioni che si sono aperte. Siamo stati totalmente pionieri in questo e abbiamo avuto riconoscimenti e patrocini anche dall'estero.
Certo adesso bisognerebbe rimboccarsi nuovamente le maniche, perché la tendenza riemerge e si torna sempre a viaggiare sul sistema binario bianco/nero, bene/male...
Il maestro Ikeda ha sempre affermato che gli scambi culturali sono il mezzo più efficace per creare la pace. Perché l'arte ha questa funzione?
Un motto di Festa d'Africa Festival era proprio "facciamo pace con la cultura", perché era quello il punto di partenza e il punto d'arrivo.
Gli artisti di qualsiasi latitudine alla fine parlano tutti la stessa lingua, perché tutti hanno indistintamente a che fare con le ragioni del cuore, tutti. Ed è per questo che io sogno, ipotizzo questa "internazionale artistica" che possa diventare una rete globale di sostegno alla costruzione della pace.
Perché gli artisti, a qualunque latitudine, per la natura stessa del loro lavoro sono allenati a cadere e a rialzarsi. C'è una grande umanità in questo, quando lavori con un certo tipo di materia sensibile ti metti profondamente in gioco, ti metti in relazione con il dolore facendo entrare dentro di te anche il dolore degli altri. Questa capacità di trasformare la sofferenza in qualcosa di poetico ce l'hanno gli artisti, e lo fanno per tutti noi.
È per questo che la cultura va difesa e il maestro Ikeda aveva così a cuore gli artisti, perché sono quella voce che ti permette di trasformare il dolore, attraverso la parola, il movimento, la musica, il gesto … Adesso sono più consapevole di ciò che sto facendo e forse per questo riesco ad andare così a fondo anche nella mia vita.
Nel tuo lavoro artistico è molto presente il tema della violenza sulle donne. Ad esempio Switch, il tuo secondo cortometraggio, premiato in Canada come miglior film, parla proprio di questo...
Switch racconta della violenza che subiscono due donne che non si conoscono ma vivono sullo stesso pianerottolo. Una delle due è testimone attraverso i muri di quello che succede nell’appartamento accanto.
Queste due donne sono convinte che la loro vita sia tutta lì. Noi donne usiamo molto la parola ormai, che invece andrebbe cancellata dal vocabolario. Abbiamo questo retaggio culturale. E invece la possibilità del cambiamento c’è, sempre. Anche per queste due donne che nella relazione tra loro trovano la chiave della trasformazione, ognuna in modo diverso, ma entrambe escono dalla prigione e non saranno più vittime. Quando comprendono che la loro vita ha valore - e lo capiscono specchiandosi una nell'altra - a quel punto sono libere.
Una delle due è una grande lettrice, fugge da se stessa immedesimandosi nelle eroine dei romanzi. Ha una vita spenta, solitaria, vuota, ma a un certo punto, grazie alla letteratura comprende che c'è un legame infinito tra tutte le donne di tutte le epoche, comprende che le nostre storie sono tutte collegate. E nel momento in cui trova questo collegamento si illumina, capisce tutto di sé, capisce di essere dentro un flusso e che può portare con sé anche altre persone in questo flusso...
Recentemente hai partecipato all’attività per la mostra Senzatomica, da poco conclusa a Roma. Come hai vissuto questa avventura? Come vuoi rilanciare il tuo impegno per kosen-rufu?
Senzatomica è stata l'occasione di uscire dal buco nero della sofferenza che mi si era scatenata dentro, dalla rabbia e dal senso di impotenza per tutto ciò che accade nel mondo e per il fatto che si cerchino delle giustificazioni alla guerra perdendo completamente di vista gli esseri umani. Mi sono avventurata in Senzatomica con questo peso sul cuore. Per fare la guida ho studiato tanto, ho cercato di portare più persone possibile a visitarla e questo mi ha permesso di sentirmi ancorata a un pensiero costruttivo. In un momento così buio, studiare per la pace mi sembrava la cosa più rivoluzionaria che potessi fare, mi ha veramente trasformata.
Adesso, più che mai, la mia determinazione è realizzare kosen-rufu. Nel Sutra del Loto c’è scritto che coloro a cui viene affidata la Legge mistica sono i Bodhisattva della Terra, perché conoscono la compassione, sono esseri comuni, appartengono alla terra... E quindi siamo noi persone comuni che affrontiamo le difficoltà, solo noi possiamo far emergere questa compassione nei confronti della nostra stessa vita, questa apertura di accettare tutto ciò che si manifesta, di accoglierlo e trasformarlo per poter mostrare il nostro cambiamento. Umilmente, con l’esempio, possiamo mostrare agli altri come fare. Il Buddismo ti insegna a non raccontarti bugie, la responsabilità è tua… Non hai alibi e questo, oltre che un bagno di umiltà, è un bagno di sincerità. Soprattutto in un'epoca in cui pare che la menzogna sia la chiave di lettura della realtà, questa onestà interiore sicuramente aiuta.
Attrice di teatro, Daniela Giordano ha interpretato opere di Brecht, Molière, Shakespeare, Flaiano, Puskin, Euripide e Strindberg, per le regie di Luca Ronconi, Giancarlo Sepe, Gabriele Lavia e Benno Besson.
Debutta al cinema nel 1985 con "Piccoli fuochi" di Peter Del Monte. Seguono numerosi altri film, ma la notorietà al grande pubblico arriva con la televisione per la sua interpretazione di Agnese Borsellino nel tv-movie "Paolo Borsellino" dedicato al magistrato, per la partecipazione nel cast de "Il commissario Montalbano" e "Don Matteo" e come protagonista delle serie "Distretto di Polizia 7" e "Sottocasa", per cui ha ricevuto la Grolla d’Oro come Migliore attrice 2006 per la TV.
Nel 2018 firma sceneggiatura, regia e musica originale della sua opera prima cinematografica, il cortometraggio "Di chi è la Terra?", scelto per celebrare il cinema italiano nel centenario della nascita di Fellini nella Giornata Mondiale del Cinema Italiano.
Il suo secondo cortometraggio, "Switch", è stato vincitore in Canada all’Alternative Film Festival 2023 e ha avuto una Menzione Speciale al XLI Primo Sull’Autore - Festival Pianeta Donna.
Dal 2002 al 2015 è stata ideatrice e direttrice artistica di Festa d'Africa - Festival Internazionale delle Culture dell'Africa Contemporanea, premiato con medaglia d’oro dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2009 per “il ruolo svolto nella promozione della cultura […] e nel sostenere il difficile cammino verso una più ampia affermazione dei diritti e della dignità delle persone”.