Flautista, ha suonato con grandi artisti. Il suo primo palcoscenico è stato quello a cielo aperto, tra la gente. A 19 anni parte da Cagliari per il Sud America, per conoscere se stessa, e in questo viaggio incontra la musica. La sua anima soul si esprime al meglio nel sestetto Funky acid jazz di cui fa parte in Sardegna. Dopo aver suonato per anni a orecchio, decide di studiare al conservatorio di Cagliari e poi all’Accademia Civica di Jazz di Milano. Conclusi gli studi nel 2011 ritorna alla sua passione originaria, l’arte di strada, dove può esprimersi liberamente ed entrare in contatto con tante persone ottenendo ingaggi per festival ed eventi.
Tra gli artisti internazionali il trombettista Arturo Sandoval, grande virtuoso del jazz cubano, l’ha voluta insieme a lui sul palco del Blue Note.
Nel 1995 è stata chiamata da Fabrizio de André per registrare nell’album Anime Salve.
Qual è il tuo punto di origine nella relazione con il maestro Ikeda?
Nel 1990 ero a Parigi per studiare musica e, nonostante non fossi ancora membro della Soka Gakkai, ebbi l’opportunità di partecipare a un corso buddista al Centro culturale di Trets. All’epoca mi sentivo spesso fuori posto, estranea, e mi facevo mille domande sul senso della vita. Recitando Daimoku percepii per la prima volta che siamo tutti interconnessi e che, quando illuminiamo la nostra vita prendendocene cura, questa “luce” può arrivare a ogni persona con cui abbiamo un legame. Smisi di sentirmi isolata e da quel momento compresi l’importanza di dare valore al mio tempo… La relazione con il maestro Ikeda in questo senso è stata determinante. Capii che era importante leggere, informarsi, costruire guardando al futuro e non soltanto vivere il momento presente. Nacque in me il desiderio di studiare musica, perché ero sempre stata un’autodidatta, e compresi quanto fino a quel momento mi fossi in qualche modo accontentata.
Il legame con Ikeda è stato il punto di origine dal quale si è dipanato tutto il resto, e così è ancora oggi.
Nel suo dialogo con i jazzisti Herbie Hancock e Wayne Shorter, Ikeda afferma: «La musica è la lingua comune degli individui di tutto il mondo. […] Espandere una rete di gioia nella società mentre ci sforziamo di sollevare le nostre stesse vite: questo è l’intento del movimento culturale della SGI. I musicisti della Legge mistica hanno la grande missione di guidare gli altri verso questo compito, eseguendo la musica meravigliosa della dignità della vita» (pagg. 50, 59).
Come hai sperimentato questo incoraggiamento nella tua vita?
Nella mia vita artistica questa idea è alla base di tutto. Il Buddismo è il terreno dove affondo le mie radici e la musica è il cielo su cui svettare.
Attraverso la musica cerco di condividere la gioia che sento di essere viva e di partecipare alla vita insieme agli altri.
Sia che mi trovi su un grande palco, sia per strada, ogni essere vivente che mi passa davanti mentre suono è immerso nel suo mondo, ha le proprie sofferenze e merita di essere “sollevato” proprio come nella cerimonia nell’aria.
Ricordo che una volta, mentre suonavo a Milano, una donna si fermò e mi disse: “Mentre uscivo dalla metropolitana sentivo la tua musica ed è stato come se mi prendesse e mi sollevasse in aria”.
Provo molta gratitudine per il fatto di essere viva, di poter trasmettere attraverso la musica l’immensità dell’universo che è contenuta nella mia stessa vita.
Per questo recito sempre Daimoku prima di suonare, per condividere questo stato vitale immenso della Buddità. Se la Buddità si risveglia in noi possiamo risvegliarla anche negli altri, questo l’ho sempre avuto molto chiaro!
Nel corso della tua carriera musicale hai collaborato con diversi artisti di grande umanità e spessore. In particolare, l’incontro con De André dev’essere stato molto significativo...
Sicuramente è stata un’esperienza incredibile dal punto di vista della fede, perché ho sperimentato che non esistono limiti con la pratica buddista, i limiti esistono solo nella nostra mente.
Avevo appena realizzato una bellissima esperienza mettendo in piedi dodici spettacoli di musica e teatro in una scuola elementare di Selargius, in Sardegna. Mi avevano chiesto di condividere questa esperienza a una riunione con duecentocinquanta giovani.
Determinai di incoraggiare quei giovani realizzando, prima della data dell’incontro, il mio sogno più grande, quello di suonare con un grande artista, e iniziai a recitare Daimoku insieme a mia madre, anche lei buddista. All’epoca ero totalmente autodidatta e non avevo idea della teoria musicale. Il giorno prima della riunione non era ancora successo nulla, ma mia madre mi fece osservare che c’era ancora un giorno, non era finita... Rilanciai più profondamente con la determinazione di dimostrare la veridicità delle parole del mio maestro, che l’impossibile diventa possibile, e di sperimentarlo con la mia stessa vita.
La notte prima della riunione arrivò la chiamata di una grande etichetta discografica, perché Fabrizio De André mi chiedeva di partecipare al suo prossimo disco… Era Anime Salve!
Qual è stato l’insegnamento più importante di questa esperienza?
Fabrizio De André mi ha trasmesso la forza della semplicità. Prima di registrare avevo determinato di poter improvvisare con lui, anche se la sua presenza in studio non era prevista… invece misticamente arrivò e mi chiese subito: «Te la senti di improvvisare?».
Di lì a poco la sua voce ha riempito la stanza, mi sono sentita avvolta da un grande calore, ho chiuso gli occhi e ho iniziato a suonare. Tempo venti secondi mi ha detto: «È perfetto, registriamo!». E quella registrazione che abbiamo fatto subito dopo è quella che c’è nel disco. Il tecnico del suono mi disse che in trent’anni di carriera era la prima volta che vedeva Fabrizio dare per buona la prima. Non lo dico per vantarmi, ma per comprendere quanto è grande la Legge mistica, quanto è grande la nostra vita. Ero un’autodidatta e avevo mille limiti nella mente...
Mi sono resa conto di essere arrivata alla vita di Fabrizio in maniera totale e non tramite la tecnica, è stata la mia vita profonda, il mio cuore, la mia determinazione.
Qual è la tua sfida fondamentale nel fare musica? In che modo la pratica buddista ti aiuta ad affrontarla?
Per me la sfida fondamentale è sempre stata quella di andare oltre me stessa, cioè suonare preoccupandomi il meno possibile della mia prestazione e cercando il senso profondo di ciò che sto facendo. Grazie al legame con il maestro Ikeda ho compreso l’importanza di essere veramente seri in quello che si fa. Ho smesso di accontentarmi di suonare a orecchio e ho studiato, prima come autodidatta al Conservatorio e poi, per cinque anni, all’Accademia di Jazz di Milano, portando avanti contemporaneamente due lavori e riuscendo a laurearmi con 110 e lode. Il linguaggio del Jazz è molto profondo, lo amo tantissimo e sto studiando con passione e serietà.
In questi anni ho suonato con grandi nomi del Jazz, come Arturo Sandoval, e la mia sfida è sempre stata quella di andare oltre il mio piccolo io, di superare la paura di non essere all’altezza e concentrarmi sull’incoraggiare gli altri a non rinunciare mai ai propri sogni, ad andare fino in fondo e credere in se stessi. Tutto è possibile nella vita, soprattutto per noi che abbiamo la missione di diffondere e trasmettere la grandezza della Legge mistica. Questo insegnamento è rivoluzionario, assoluto, è un vero diamante. È questa la mia sfida più grande quando suono: andare oltre me stessa, staccare la mente e connettermi alla grande energia dell’universo, diventare io stessa musica… invece di “fare musica”.
Come incoraggeresti i giovani che stanno affrontando ostacoli e difficoltà sulla strada per realizzare i loro sogni?
La gioventù è la fase della vita dove i nostri sogni stanno sbocciando. Io per i giovani ho sempre grande rispetto, mi avvicino a loro con l’intenzione di imparare prima ancora di trasmettere qualcosa.
Nella mia esperienza ho imparato dai miei più grandi fallimenti. Ricordo un episodio di quando all’Accademia di Jazz ero l’unica donna nell’orchestra e il mio insegnante mi chiese di improvvisare su un brano. Non conoscevo ancora bene la musica e mi persi completamente. Mi sentii morire… tornata a casa mi feci un pianto pazzesco. Poi davanti al Gohonzon decisi che non sarebbe mai più capitato, che quella sarebbe stata la prima pietra della costruzione di un grande castello. Cinque anni dopo, infatti, il mio maestro mi scelse tra una rosa di musicisti dell’Accademia per un quartetto Jazz in cui suonava anche lui e insieme abbiamo fatto diversi concerti. Quindi dico ai giovani che i più grandi fallimenti diventano il nostro trampolino se li viviamo con la consapevolezza che i limiti non sono lì per fermarci, ma per essere superati.
Ho sempre messo la pratica buddista al centro di tutto. Non potrei fare musica o essere felice se non coltivassi ogni giorno il terreno del mio cuore con il Daimoku, lo studio, lo shakubuku e gli incoraggiamenti da vita a vita… La Legge mistica è la spinta della trasformazione e al tempo stesso è la traiettoria che ci fa arrivare perfettamente all’obiettivo.
Quali sono le tue determinazioni per il futuro?
Verso il centenario della Soka Gakkai nel 2030 vorrei fare una grande esperienza. Il lavoro di musicista è sempre altalenante, ci sono fasi in cui si sale e poi si scende. Questa precarietà l’ho scelta e mi piace, perché se mi siedo sulle cose non cresco…
Il maestro Ikeda ha affermato che questo decennio che porta al 2030 è un periodo cruciale sia a livello mondiale che a livello personale, in cui mostrare ognuno più che mai la prova concreta della vittoria (vedi NR, 681).
Perciò la mia determinazione adesso è realizzare una grande esperienza insieme ad artisti importanti, con cui crescere musicalmente e sviluppare anche un nuovo progetto. In questo periodo con una collega musicista stiamo pensando a un progetto che celebri le donne, che purtroppo sono spesso nell’ombra, per portarlo sui palchi del mondo.
Desidero incoraggiare tutti a non mettere mai dei limiti alla nostra vita. Piuttosto colleghiamoci al cuore del nostro maestro, che è sempre immenso, e non smettiamo mai di sognare, fino all’ultimo istante della nostra vita!