Interconnessione
Fin dai tempi antichi l’essere umano ha sempre attinto alle risorse disponibili in natura per garantire la sopravvivenza della sua specie creando con essa una profonda simbiosi che è stata la base per lo sviluppo di tutte le culture nel mondo.
Solo alcune però ne hanno mantenuto, fino ai nostri giorni, lo spirito originario. Dai nativi americani, per i quali nulla può esistere senza il riconoscimento di questa interdipendenza con Madre Terra, all’animismo balinese che vede in ogni forma di vita uno spirito da venerare, e ancora le comunità indigene dell’Amazzonia e dell’Australia dove il rapporto con la natura si basa sul riconoscimento dell’energia cosmica presente nella foresta e in ogni suo elemento.
Anche per il Buddismo di Nichiren Daishonin la natura è sempre stata una musa ispiratrice. Nel Gosho abbiamo innumerevoli rimandi dove Nichiren la utilizza per spiegare ai suoi discepoli e alle sue discepole, in modo semplice e diretto, dei princìpi buddisti profondi e spesso difficili da comprendere. Il blu della pianta dell’indaco, ad esempio, lo utilizzò per descrivere l’importanza di approfondire sempre di più la fede; con il ruggito del leone, tra i suoni più potenti in natura, descrisse la forza che scaturisce dal legame di non dualità tra maestro e discepolo; la terra la paragonò al maestro e le piante, da cui essa si nutrono e crescono, al discepolo. Perché è così importante riflettere su questo punto? Perché quando questa simbiosi tra essere umano e natura non è rispettata, valorizzata e tenuta in giusto conto, non è solo la natura a subirne gli effetti (vedi l’impatto della crisi climatica) ma è l’essere umano stesso che peggiora la qualità della sua vita e mette in pericolo la sopravvivenza della sua specie.
Coltivare uno spirito poetico
La cultura occidentale invece si è distaccata dall’interconnessione con la natura e, soprattutto con l’avvento della rivoluzione industriale, a poco a poco si è concentrata sul profitto economico e la produzione di materia piuttosto che sulla creazione di armonia con gli elementi naturali e sul nutrire un animo sensibile che possa valorizzarli. La visione antropocentrica, che vede l’essere umano come al centro di tutto, è stata in grado di oggettivare la natura, di renderla cioè una materia inerte, non più da rispettare in quanto parte di noi ma da usare, sfruttare, e da eliminare se necessario pur di utilizzarla per soddisfare le nostre necessità. Giunti a questo punto dovremmo fermarci, fare un passo indietro e tracciare una nuova rotta, una nuova cultura del “sentire” la natura. Si tratta di attivare quindi un ascolto più profondo, fatto di gentilezza, di stare nel qui e ora, di risvegliare uno “spirito poetico” per connetterci con quello che ci circonda e osservarlo con tutti i nostri sensi, regalarci del tempo per re-imparare a vivere in relazione con ciò da cui originiamo. Il maestro Ikeda afferma:
«Quando lo spirito della poesia vive all’interno di noi, persino gli oggetti non appaiono più come semplici cose: i nostri occhi riconoscono una dimensione spirituale interiore. [...] Col nostro sguardo fisso su un fiore o sulla Luna, intuiamo i legami insondabili che ci uniscono al mondo» (La speranza è una scelta, Esperia, p. 57)



Sviluppare una cultura del rispetto verso la natura
Se approfondiamo il termine cultura notiamo che il suo significato dal latino è «coltivazione della terra» e deriva dal verbo còlere, "coltivare". Nel dizionario troviamo scritto che possiamo coltivare un sapere «il cui scopo è lo sviluppo equilibrato e completo della personalità umana», inoltre il termine cultura indica «l'insieme dei modi di vivere, esprimersi e pensare che caratterizzano un qualsiasi gruppo umano» (Treccani).
Cosa vogliamo coltivare nel nostro presente? Che tipo di pensieri, parole e azioni vogliamo scegliere per costruire una nuova cultura dove al centro ci sia il rispetto per la natura?
Recitare Nam-myoho-renge-kyo ogni giorno davanti al Gohonzon ci permette di risvegliare in noi il maestoso e inesauribile stato vitale del Budda al cui interno esistono tutte le capacità necessarie per poter sviluppare quelle “antenne invisibili” in grado di captare una profonda interconnessione con la Buddità presente in ogni forma di vita, dalla maestosa aquila fino alla più piccola formica così come da un possente fiume fino alla più piccola goccia di rugiada.
Ricercare costantemente la natura di Budda nella nostra vita ci permette di sviluppare quel sentire più profondo, armonico, meraviglioso per cui nulla è separato. Questo è il punto di partenza per riuscire ad apprezzare la vita in sé, in ogni sua manifestazione, e porre le basi per coltivare uno spirito più sensibile e attento. Con questa predisposizione del cuore e il contatto con la natura possiamo risvegliare e nutrire il nostro spirito poetico tanto invocato ed esercitato dal maestro Ikeda con la scrittura di poesie, la pratica fotografica come arte di dialogo fra sé e la natura e anche la tradizione di piantare alberi di cui spesso parla in numerosi scritti quando si tratta di celebrazioni o commemorazioni.



Partecipare emotivamente al mondo intorno a noi
Questo spirito poetico è il medesimo dell'osservatore acuto e delicato che sa guardare intorno a sé, riconosce celebrando la bellezza e se ne fa custode. Anche scrivere, studiare, leggere, contemplare il mondo ritagliando momenti di silenzio, porta ad avere una maggiore comprensione di ciò che ci circonda. Potremmo dire che dal verbo conoscere si accede così a quei verbi caratteristici del mondo di Buddità tra cui amare e gioire che ci permettono di partecipare emotivamente al mondo intorno a noi. Nel Buddismo più precisamente parliamo di compassione, un sentimento ampio, libero e profondo che caratterizza il mondo di bodhisattva. In giapponese per dire compassione si usa l'ideogramma jihi:
«Ji significa amore, significa guidare le persone come se fossero i propri figli – scrive Daisaku Ikeda – e hi significa dispiacersi delle loro sofferenze e condividerne il dolore come se fosse nostro» (Il mondo del Gosho, pag. 519)
Se questa parola, in latino compassio e in greco sympatheia, ha la medesima accezione di "soffrire insieme", esercitare questa grande e nobile virtù del bodhisattva ci permette di ampliarne il significato: compartecipando infatti al dolore lo possiamo togliere e sostituirlo con la gioia.
A maggior ragione mettere in pratica la compassione verso di sé e verso ogni forma animata e inanimata ci permette di stare in quella “comunanza del sentire” in cui percepiamo di essere parte di un unico grande organismo vivente che è il Pianeta Terra, riuscendo così ad agire spontaneamente in maniera virtuosa e coinvolgendo con gioia le altre persone a fare lo stesso.
Celebrare la natura
L'atteggiamento che nasce dallo spirito poetico è quello di celebrare la natura, da cui trae ispirazione, per una vita felice e amarla riconoscendo nel tutto e in sé il riverbero della Buddità:
«Chi ama la natura sa amare anche gli altri esseri umani e apprezzare la pace. […] Distruggere la natura significa distruggere l'umanità. La natura è la nostra casa. Tutta la vita del pianeta, compresa quella umana, dipende dall'ambiente» (Daisaku Ikeda, Cultura, arte e natura, Esperia, pp. 71-77)
Questa distruzione della natura che nasce dai tre veleni di collera, avidità e stupidità, di cui l’essere umano è facile preda, può essere contrastata da una profonda trasformazione e riforma interiore ponendo al centro l’amore verso la nostra vita e di conseguenza verso la natura di cui facciamo parte. Un amore che possiamo alimentare attraverso il Daimoku che recitiamo ogni giorno davanti al Gohonzon e che anche la cultura e l’educazione possono contribuire a sviluppare. Possono indicare modi di prenderci cura dell’ambiente o allenarci a un più profondo ascolto della vita, grazie ad esempio alle parole di grandi scrittori e scrittrici. È così che cultura ed educazione possono riportarci all'origine di tutto, anche di noi stessi e di noi stesse che siamo prima natura e poi cultura.
«I grandi capolavori», ci dice il maestro Ikeda, «così come le bellezze della natura, sono un balsamo per lo spirito e fonte di vitalità e di energia» (Cultura, arte e natura, Esperia, pag. 2). Impoverire la natura distruggendola significa quindi impoverire e distruggere lo spirito umano, da cui ogni forma di creatività scaturisce per imitazione e ispirazione.
Il cuore umano e l'ambiente sono uno specchio, il loro fiorire o inaridirsi sono la medesima cosa. Coltivare, curare e rispettare l'ambiente e ogni forma vivente sono azioni su cui poter fondare una vita degna e piena di significato, una vita che ama poeticamente.
«Lo spirito poetico ha il potere di raccordare e riconnettere un mondo dissonante e diviso. [...] Ora più che mai abbiamo bisogno della voce tonante e coinvolgente della poesia. [...] Dobbiamo essere tutti poeti» (La speranza è una scelta, Esperia, pag. 56)
Coesistere armoniosamente
Nel vuoto spirituale che ci circonda, nel declino umano caratterizzato da inaudita violenza, diventare poeti pare un anacronismo, un puerile tentativo di estraniarsi dal mondo e vivere con la testa fra le nuvole, ma in senso più ampio, diventare poeti - non solo come scrittori, s’intende -, ma come umani che sono umani davvero, può essere incredibilmente rivoluzionario e coraggioso, poiché essere poeti è amare e l’atto di amare ha la radice nella vita e si oppone al comune modo rassegnato e calcolatore di pensare. Diventare umani-poeti, celebrare ogni giorno il nostro sentire la natura attraverso la condizione vitale della Buddità, può renderci finalmente capaci di amare questo globo e l’intera nostra esistenza al fine di compiere azioni volte alla costruzione di una nuova civiltà dove la natura e l’essere umano possano coesistere armoniosamente.



In prima persona
Cecilia: “Mai avrei pensato di sentirmi fiorire”
Fin da bambina sono stata in contatto con la natura, anche grazie all'orto che coltivava mio nonno e una casa in campagna di mia zia. I ricordi di queste esperienze mi hanno accompagnata fino ad oggi. Questa predisposizione verso la natura e gli animali si è nel tempo rafforzata e direzionata anche grazie alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e si è unita al desiderio di rintracciare e mostrare la bellezza attraverso la fotografia e la scrittura - passioni che nutro fin dall’adolescenza.
La continua ricerca artistica e di me stessa mi ha spinta fino a percepire una connessione profondissima con l'ambiente intorno a me, tanto da sperimentare che, come un albero in primavera, stavo fiorendo, ero legata indissolubilmente a ogni manifestazione della Legge mistica. Aprire gli occhi sulla preziosità della natura e difenderla con l'urgenza e la compassione che nascono dal cuore del bodhisattva mi ha avvicinata sempre più alla mia stessa esistenza, che si è mostrata nel suo valore unico all'interno di un sistema infinito, in cui io ho responsabilità e possibilità di scegliere come agire.
Cristina: “Sentire la mia vita ogni giorno più preziosa”
Timidezza e paure di ogni genere mi spinsero nella mia infanzia a ricercare nella natura un rifugio dove sentirmi accolta. Al contempo però percepivo la sua immensa maestosità e un alone di mistero che a volte mi intimoriva. Con la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e le guide del maestro Ikeda iniziai a trasformare il rapporto con me stessa e a sentire la mia vita ogni giorno sempre più preziosa e forte. È come se nel mio cuore un seme ancora chiuso stesse giorno dopo giorno sbocciando in un fiore pieno di luce, amore e dignità. Con naturalezza quel senso di inferiorità nei confronti della natura si è trasformato in una profonda risonanza con essa. Ad oggi ogni giorno mi innamoro delle sue bellissime e innumerevoli forme, per me fonte di infinita ispirazione. Accarezzare una cimice così come un gattino, ai miei occhi ugualmente belli, abbracciare un albero o contemplare un fiore, mi rende felice e risveglia la mia parte più fantasiosa e fanciullesca. Quel senso di timore è divenuto profondo rispetto, cura e desiderio di continuare ad esplorare e proteggere tutta la sua meraviglia.



© Tutte le foto sono di Cecilia Ferretti
Una proposta di dialogo per i nostri lettori e le nostre lettrici
- Hai mai sentito un albero “parlare o cantare”? (cioè, ti sei mai accorto di quanta bellezza parli intorno a te?)
- Cos’è per te lo spirito poetico?
- C’è uno scritto di Sensei che ti ha permesso di metterti in connessione con la natura?
- Prenditi un momento di riflessione personale, un esercizio di attenzione e cura verso gli animali e l’ambiente naturale che ti circondano. Potresti raccontarlo?
- Che sensazioni provi quando sei immerso nella natura?
- Quando preghi, come leggiamo durante Gongyo, “per la felicità di tutti gli esseri viventi", hai mai percepito che ogni forma di vita dalla più piccola formica a noi essere umani ha lo stesso valore e lo stesso diritto di essere rispettato/a?
Se vi va, scriveteci a nuovo.rinascimento@sgi-italia.org