Come nasce CuidArte e perché avete pensato proprio a questo termine per definire il progetto?

CuidArte nasce dall’incontro tra il bisogno crescente di cura psicologica nei giovani e il desiderio di creare uno spazio non medicalizzante, accessibile, quotidiano, in cui fosse possibile ritessere legami e lavorare sul disagio psichico attraverso strumenti creativi e relazionali.
Il termine CuidArte, che in spagnolo significa “prenditi cura di te”, racchiude l’essenza del progetto: abbiamo immaginato uno spazio in cui la cura è relazione, è linguaggio espressivo, è possibilità di trasformazione. Non un luogo di terapia tradizionale, ma un contesto umano e sociale dove il corpo, il cibo, la parola e la creatività diventano vie d’accesso al mondo interno dell’adolescente. Ad oggi gli adolescenti sentono spesso il peso di essere “performanti”, si sentono giudicati e sbagliati, per questo abbiamo ritenuto necessario creare un luogo dove potessero sentirsi accolti. Negli ultimi anni stiamo avendo sempre maggiore richiesta di presa in carico di adolescenti che stanno affrontando disturbi alimentari, ansia sociale e altre problematiche. Quindi crediamo proprio che, vista la complessità dei disagi psichici adolescenziali, offrire degli spazi di cura che siano accessibili e inclusivi sia necessario. Considerando la complessa situazione socio-economica e avendo in mente il diritto alla cura come un diritto accessibile a tutti, come Associazione di Promozione Sociale è stato fondamentale ricevere i fondi 8x1000 dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai che ci hanno permesso di rendere CuidArte un intervento terapeutico gratuito, proprio per garantire l’accesso ad adolescenti e famiglie in situazione di difficoltà economica e disagio psico-sociale.
In che cosa consiste l’approccio psicodinamico e perché secondo la vostra esperienza è funzionale al benessere dei ragazzi e delle ragazze coinvolti/e?
L’approccio psicodinamico consente di ascoltare e comprendere il disagio non solo come sintomo, ma come manifestazione simbolica di un conflitto interno, spesso con radici relazionali profonde. Nel lavoro con gli adolescenti – e ancor più con chi vive disturbi del comportamento alimentare, ritiro sociale, autolesionismo – il modello psicodinamico offre uno spazio di senso, in cui il sintomo viene accolto, interrogato, anziché subito normalizzato o annullato.
È un approccio che valorizza il tempo, le difese e che permette al giovane di sentirsi riconosciuto nella sua complessità, senza etichette.
E la metodologia del gruppo-laboratorio?
Il gruppo-laboratorio è uno spazio relazionale, protetto e creativo, dove il gruppo diventa contenitore e rispecchiamento delle dinamiche interne dei partecipanti. A differenza di un gruppo terapeutico classico, il gruppo-laboratorio integra elementi espressivi e creativi: arte, scrittura, movimento, gioco, cibo. È una cornice meno medicalizzante, più vicina al linguaggio adolescenziale. Il gruppo, eterogeneo, favorisce trasformazioni profonde, perché ogni partecipante, nel contatto con l’altro, può uscire dall’isolamento e rielaborare vissuti, ruoli e immagini interne. Questo tipo di approccio aiuta gli adolescenti a ripensarsi e a riportare queste trasformazioni anche nella propria vita individuale.
CuidArte risulta essere un sostegno concreto e a lungo termine per i ragazzi e le ragazze. Rispetto a una terapia individuale, sono due aspetti contrapposti o che possono essere integrati tra di loro?
Non sono affatto aspetti contrapposti, ma complementari e fortemente integrati.
Non si sostituisce alla psicoterapia individuale, bensì può essere un dispositivo terapeutico aggiunto che può rappresentare:
- un ponte iniziale per chi non si sente ancora pronto per un percorso individuale;
- un’integrazione relazionale e corporea per chi è già in cura;
- un contenitore quotidiano e comunitario che riduce la solitudine e rafforza le risorse, potenziando gli interventi di cura.
L’integrazione tra individuale e gruppale è proprio una delle forze di questo progetto, in linea con la complessità dei bisogni psichici contemporanei.
C’è un’esperienza di un/a utente che vorresti condividere?
Mi viene in mente quella di una ragazza che è entrata nel progetto avendo un disturbo alimentare, ansia sociale, ritiro e fatiche scolastiche ed era molto resistente rispetto ai pasti condivisi, alle dimensioni del gruppo e per questo molto chiusa in se stessa. Era molto brava a disegnare e quindi abbiamo provato ad agganciarci a questa passione, ma non è stato un percorso facile quindi abbiamo iniziato con i pasti individuali e pian piano questa ragazza si è aperta e ha affrontato le sfide. È tornata a scuola, ha preso la maturità e ha scelto di continuare a stare nel progetto come volontaria ed essere un ponte che potesse aiutare le altre ragazze che entravano nel gruppo ad affrontare le sfide del progetto.
Qualche pensiero conclusivo da condividere con i lettori e lettrici?
Oggi più che mai, prendersi cura significa creare legami. In questo progetto scommettiamo sulla relazione, sul gruppo, sull’arte e sul corpo come strumenti terapeutici e trasformativi. È un invito a pensare la salute mentale non solo come assenza di sintomo, ma come presenza di possibilità, di convivenza creativa. In un’epoca in cui i giovani rischiano di sentirsi soli, invisibili o sbagliati, offrire spazi di cura accessibili, inclusivi e profondamente umani è un atto sociale, morale e politico insieme.



