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18 ottobre 2023

Affrontare le quattro sofferenze fondamentali della vita

L’obiettivo essenziale della pratica buddista è metterci in grado di superare le quattro sofferenze inevitabili di nascita, invecchiamento, malattia e morte. Come? Sviluppando dentro di noi la saggezza, il coraggio e la compassione che ci permettono di illuminarci alla vera realtà della vita e di trasformarle in occasioni per costruire una felicità assoluta

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Si può affermare che il Buddismo ha origine dal desiderio di superare le quattro sofferenze fondamentali di nascita, invecchiamento, malattia e morte in quanto realtà ineludibili della vita umana.
Per quanto forte sia il nostro desiderio di rimanere giovani, col passare del tempo non possiamo fare a meno di invecchiare; analogamente, per quanti sforzi facciamo per restare in buona salute, prima o poi ci capiterà di ammalarci; e, cosa ancor più sicura, ogni momento della nostra vita potrebbe essere l’ultimo.
Tutti i fenomeni sono impermanenti, in uno stato di flusso continuo, e cercare di sfuggire a questa realtà non può che condurci all’infelicità.

I quattro incontri di Shakyamuni

La realtà delle quattro sofferenze fondamentali è rappresentata simbolicamente dalla storia dei quattro incontri del giovane principe Shakyamuni, riportata dalle scritture buddiste. Secondo la tradizione egli viveva relegato nel palazzo reale per volere del re suo padre, che sperava di tenerlo in questo modo al riparo dalle sofferenze del mondo.
Un giorno però Shakyamuni, uscendo dalla porta orientale del palazzo, incontrò un vecchio che camminava vacillando e comprese che la vita comporta la sofferenza della vecchiaia. In un’altra occasione, lasciando il palazzo dalla porta meridionale, vide una persona malata e comprese che anche la malattia fa parte della vita. Una terza volta uscì dalla porta occidentale e vide un cadavere; questo incontro lo portò ad afferrare la verità che tutto ciò che vive alla fine deve morire. Per ultimo, un giorno che si allontanò dalla porta settentrionale vide un asceta, e il suo aspetto sereno e dignitoso fece maturare in lui la decisione di intraprendere la via della ricerca spirituale.
Dopo essersi dedicato per molti anni a varie pratiche religiose, Shakyamuni raggiunse infine l’illuminazione liberandosi dalle sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte. Deciso a condurre anche tutte le altre persone alla felicità, cominciò a predicare e divenne noto come il “Budda”, che significa “risvegliato” o “illuminato”, cioè un individuo la cui saggezza comprende la verità fondamentale della vita e dell’universo.

Come affrontare le sofferenze di nascita, invecchiamento, malattia e morte

Naturalmente il Buddismo non mira a eliminare le sofferenze, che sono intrinseche all’esistenza, ma si concentra sul modo per coltivare il potere e la saggezza innati che ci mettono in grado di affrontarle. Potere e saggezza derivano dalla forza vitale, perciò se generiamo una forza vitale sufficiente, non soltanto saremo in grado di resistere alle avversità della vita, ma riusciremo a trasformarle in cause di felicità.
Il capitolo L’apparizione della Torre preziosa del Sutra del Loto descrive un’enorme torre che emerge dalla terra e si libra al centro dell’universo. Le sue immense dimensioni rappresentano la grandezza e la dignità della vita di ogni persona. Nichiren Daishonin spiega:

«Le parole “quattro lati” [della torre preziosa] indicano la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte. Noi usiamo gli aspetti di nascita, vecchiaia, malattia e morte per adornare la torre che è il nostro corpo. E quando, mentre siamo in questi quattro stati di nascita, vecchiaia, malattia e morte, recitiamo Nam-myoho-renge-kyo, facciamo sì che essi diffondano la fragranza delle quattro virtù» (BS, 114, 45)

Ciò significa che recitando Nam-myoho-renge-kyo possiamo sicuramente trasformare le quattro sofferenze fondamentali nelle quattro virtù di eternità, felicità, vero io e purezza che sgorgano dalle profondità del nostro essere.
Una vita basata sulla fede nella Legge mistica utilizza la lotta contro qualunque ostacolo per sviluppare un senso di soddisfazione e uno spirito invincibile. Per questo è necessario sforzarci costantemente nella fede e nella pratica per noi stessi e per gli altri, forgiando una determinazione che rimarrà salda e incrollabile di fronte all’insorgere di qualsiasi sofferenza o difficoltà.

La nascita, ovvero “emergere e apparire”

L’emergere della Torre preziosa descritta nel Sutra del Loto può essere interpretato come una metafora della nascita e della vita umana.
Il Daishonin, paragonando l’apparizione della Torre preziosa alla nascita afferma che «il mondo della purezza preziosa è l’utero materno» e che «l’uscita dall’utero materno è chiamata “emergere e apparire”» (cfr. BS, 125).
La Torre preziosa rappresenta quindi l’identità della nostra vita con la vita dell’universo. Josei Toda diceva:

«Usiamo il termine io per alludere a noi stessi ma questa parola in realtà si riferisce all’universo. Quando ci chiediamo in cosa la vita dell’universo sia diversa da quella di ciascuno di noi, le sole differenze che troviamo sono quelle dei nostri corpi e delle nostre menti. La nostra vita e quella dell’universo sono la stessa cosa» (La saggezza del Sutra del Loto, volume 1, pag. 29)

Il Buddismo afferma che la vita, così come l’universo, è eterna. Proprio come ci addormentiamo, ci svegliamo e poi ci riaddormentiamo di nuovo, noi continuiamo a vivere eternamente. Quando ci svegliamo la mattina, riprendiamo le nostre attività sulla base di quelle del giorno prima. Allo stesso modo, in ogni nuova esistenza siamo destinati a vivere sulla base delle cause karmiche create nelle nostre vite precedenti.Possiamo considerare l’universo come un’unica entità pervasa di vita: ovunque ci siano le condizioni adatte, la vita emerge. Nel processo della nascita le cause interne accumulate nelle esistenze precedenti incontrano le cause esterne per produrre le condizioni della rinascita.
Perché quindi il Buddismo parla di “sofferenza della nascita”?
Il presidente Ikeda spiega:

« Per “sofferenza della nascita” s’intende l’essere nati. Il solo fatto di venire in vita nel mondo di saha è di per sé fonte di angoscia. Ciò perché, al momento della nascita, un essere umano è già gravato del karma accumulato dall’infinito passato. La sua vita, quindi, nel momento stesso in cui appare, porta in sé le sofferenze che dovrà sopportare.
Ma il Buddismo di Nichiren Daishonin insegna il principio del cambiamento del proprio destino. Se si segue questo principio, le sofferenze della vita si trasformano in felicità assoluta. Nel momento in cui poniamo alla base la fede nel Gohonzon, possiamo trasformare le nostre sofferenze in gioia di vivere e in un’autentica sensazione di appagamento. In questo consiste la vera gioia di vivere» (BS, 135)

Quali sono le implicazioni pratiche di questa filosofia?
Se siamo convinti che il nostro attuale comportamento determini la nostra esistenza futura, ci sforzeremo sempre più di migliorare e di trarre il massimo da ciò che ogni singolo giorno ci offre. Il fatto di essere nati come esseri umani significa avere il potenziale per cambiare il corso della nostra esistenza.
In questo senso ogni giorno di vita è un giorno in cui possiamo contribuire a kosen-rufu e un’occasione irrepetibile per accumulare buona fortuna.

L’invecchiamento, un tramonto dorato

Il filosofo greco Eraclito (VI secolo a. C) affermava che tutto cambia e che non è possibile immergersi due volte nello stesso fiume. Perfino le pietre sono soggette agli effetti corrosivi del tempo… Anche i nostri corpi sono impermanenti; tuttavia, nonostante si tratti di una realtà inevitabile, spesso gli esseri umani rifiutano il fatto di invecchiare.
Praticando il Buddismo arriviamo a cambiare il nostro punto di vista: consideriamo la vecchiaia come un sentiero declinante o come il tempo in cui portare a compimento la nostra vita con soddisfazione?
Fin quando avremo un atteggiamento attivo, rivolto verso il futuro e manterremo lo spirito di accettare le sfide, la nostra vita continuerà ad arricchirsi.
Col passare degli anni il nostro corpo si deteriora, ma ciò che conta è la forza vitale che sviluppiamo con la pratica buddista.
Nichiren dichiara:

«Se si pensa al potere del Sutra del Loto, si trovano perpetua giovinezza e vita eterna davanti ai propri occhi» (Risposta a kyo’o, RSND, 1, 366)

È stato osservato che alcune capacità mentali addirittura migliorano nel corso del tempo, soprattutto se tenute in esercizio. Ad esempio, durante la vecchiaia tende a svilupparsi in particolare l’intelligenza concreta, la capacità di utilizzare le informazioni per formulare giudizi e risolvere problemi.
Tra i problemi caratteristici della vecchiaia sicuramente ci sono l’ansia, la solitudine e il senso di inutilità. Spesso gli anziani si sentono tagliati fuori dalla società e vivono chiudendosi in se stessi.
A questo proposito il presidente Ikeda offre alcuni suggerimenti pratici: continuare per quanto possibile a mantenersi socialmente impegnati e mentalmente attivi è fondamentale. Anche l’umorismo è una potente difesa contro il senso di impotenza, che è il male peggiore della vecchiaia.
Le persone che grazie agli sforzi compiuti nel corso della loro vita hanno accumulato saggezza ed esperienza, hanno capacità intuitive che con la vecchiaia diventano addirittura più profonde. Perciò il modo in cui viviamo nel corso della nostra esistenza avrà una grande influenza sul tipo di vecchiaia che trascorreremo.
In cuor nostro sappiamo bene se siamo soddisfatti o meno della nostra vita. Nessun altro può stabilirlo per noi. E la sfida più grande che abbiamo davanti è concludere la nostra vita magnificamente, «come un sole al tramonto che con i suoi raggi dorati illumina il cielo in tutte le direzioni» (I misteri di nascita e morte, pag. 49).

La malattia, un’opportunità per approfondire la fede

La malattia è un aspetto naturale della vita umana che prima o poi ognuno di noi si trova ad affrontare. Ogni volta che uno dei suoi discepoli si ammalava, Nichiren Daishonin lo incoraggiava con tutto il cuore affermando che il “ruggito del leone” di Nam-myoho-renge-kyo è l’arma suprema per combattere la malattia:

«Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (Risposta a Kyo’o, RSND, 1, 365)

Condurre un’esistenza di valore vuol dire usare la lotta contro la malattia per sviluppare una ricchezza interiore ancora maggiore e provare un profondo senso di realizzazione. Per questo è importante avere il “cuore di un re leone” e forgiare uno spirito indomito impegnandoci nella fede e praticando costantemente, giorno dopo giorno. In questo modo possiamo sviluppare una determinazione irremovibile anche davanti agli attacchi del demone della malattia.
Ne La nuova rivoluzione umana il presidente Ikeda incoraggia così una persona malata:

«Qualunque sia la malattia, la rapidità della nostra guarigione dipende dalla nostra forza vitale. [...] Se lei si sforza nella fede con tutto il cuore, la sua vita sarà piena di speranza, di suprema felicità e soddisfazione, anche se ha una malattia cronica. Se è affrontata col Daimoku, non esiste malattia che possa essere di ostacolo alla propria felicità o a kosen-rufu. […] La malattia è necessariamente una causa di infelicità? Assolutamente no. Ciò che ci rende infelici è sentirci sconfitti e perdere la speranza. Diventiamo infelici quando dimentichiamo la nostra missione di lottare per kosen-rufu» (NRU, 10, 231)

L’esperienza della malattia ci rende più compassionevoli verso gli altri, ci fa riflettere più profondamente su noi stessi e sul significato della vita. Per questo il Daishonin afferma:

«La malattia stimola lo spirito di ricerca della via» (La buona medicina per tutti i mali, RSND, 1, 833)

A questo proposito Sensei racconta:

«Da bambino ero di costituzione debole. Soffrivo anche di tubercolosi e i medici non si aspettavano che arrivassi a trent’anni. Quell’esperienza però mi ha aiutato a capire le persone che soffrono. Mi ha portato a dare valore a ogni singolo momento della mia vita, a non sprecare nemmeno un attimo, a vivere fino in fondo. […] Finché siamo vivi è normale sperimentare qualche malattia. Perciò è importante avere la saggezza per affrontarla in maniera positiva» (BS, 174)

Per chi si basa sulla Legge mistica, ogni cosa può trasformarsi in energia per creare felicità. Quando una sua discepola si ammalò gravemente, Nichiren le inviò numerose lettere per infonderle speranza dicendo:

«Anche tu pratichi il Sutra del Loto e la tua fede è come la luna crescente o la marea che si alza. Sii profondamente convinta che la tua malattia non può durare e che non è possibile che la tua vita non venga prolungata! Prenditi cura di te e non affliggere la tua mente» (L’arco e la freccia, RSND, 1, 585)

«Prenditi cura di te», la esorta il Daishonin: quando si è malati è vitale compiere azioni concrete per ristabilirsi. Nessuno all’inizio pensa di lasciarsi sconfiggere, ma quando la malattia interferisce con le nostre attività quotidiane o con il nostro lavoro, è naturale farsi prendere dallo sconforto e perdere la fiducia.
Per questo Nichiren sottolinea quanto sia importante alimentare il desiderio di continuare a vivere, l’entusiasmo per la vita.

Dal punto di vista del Buddismo la salute non è semplicemente assenza di malattia: una vita sana avanza costantemente, sviluppando sempre più creatività e saggezza per aprire scenari sempre nuovi.

Perché impegnarci a godere di buona salute e longevità?
Perché solo così possiamo usare la nostra vita al massimo per il bene della Legge, per la felicità e il benessere delle nostre famiglie, dei nostri compagni e di tutti gli esseri umani, e adempiere la nostra missione individuale di realizzare il grande voto di kosen-rufu.
Dunque, ammalarsi non è sinonimo di infelicità. La cosa più importante è coltivare l’assoluta fiducia di poter trasformare il veleno in medicina e decidere di vincere assolutamente, partendo da una forte preghiera capace di trasformare ogni “funzione demoniaca” in una funzione protettrice.

La morte, come un’onda che si fonde nell’oceano

Dal punto di vista del Buddismo, solo affrontando direttamente la questione imprescindibile della morte possiamo costruire una vita veramente felice. Per questo Nichiren Daishonin ci esorta a «studiare prima di tutto ciò che riguarda il momento della morte e poi tutto il resto» (L’importanza del momento della morte, RSND, 2, 714).
La civiltà moderna ha distolto lo sguardo dalla più fondamentale delle preoccupazioni, cercando di ricacciarla nell’ombra. La vita viene identificata con ciò che è bene, l’essere, la razionalità, la luce, mentre la morte è considerata il male, il nulla, l’oscurità.
Tuttavia nel Buddismo vita e morte non sono separate.
Il Daishonin afferma che myo (mistico) significa morte e ho (Legge) vita.
Vita e morte fanno intrinsecamente parte della Legge mistica, la Legge fondamentale dell’universo, e ne costituiscono il ritmo eterno.
Per spiegare questo punto fondamentale il presidente Ikeda utilizza la metafora delle onde dell’oceano:

«L’essenza vitale di un individuo non si estingue con la morte; vita e morte non sono altro che le fluttuazioni della Legge mistica. Le correnti che scorrono nelle profondità dell’oceano emergono in superficie sotto forma di onde, poi si inabissano nuovamente... Similmente, un’onda di vita che emerge nella superficie dell’oceano della Legge mistica, nel morire si fonderà nuovamente con quell’oceano e continuerà le sue fluttuazioni invisibili. Quando le condizioni saranno appropriate, quell’essenza vitale apparirà un’altra volta sotto forma di una nuova onda» (BS, 127, 48)

Il ciclo di vita e morte può essere paragonato anche all’alternarsi di sonno e veglia. Proprio come il sonno ci prepara alle attività del giorno successivo, la morte è lo stato in cui ci riposiamo e rigeneriamo per una nuova vita.
Dal momento che, secondo la visione buddista, la vita è eterna, la morte non è tanto la fine della vita quanto l’inizio di una nuova esistenza.
Secondo il Buddismo gli effetti del karma continuano a influenzarci anche dopo la morte e determinano come sarà la nostra prossima vita. Tutte le azioni compiute in vita, al momento della morte si condensano in ciò che potrebbe essere definito un «seme karmico» che ha il potenziale di germogliare e fiorire nelle nostre future esistenze.
La capacità di affrontare positivamente il momento della morte dipende dagli sforzi costanti compiuti da vivi per creare buone cause nelle profondità della nostra vita. Nichiren Daishonin afferma:

«Per chi raccoglie la propria fede e recita Nam-myoho-renge-kyo con la profonda consapevolezza che adesso è l’ultimo momento della sua vita, il sutra proclama: “Quando la loro vita giungerà al termine, esse saranno accolte dalle mani di mille Budda che le libereranno da ogni paura e impediranno loro di cadere nei cattivi sentieri dell’esistenza”. Che felicità! È impossibile trattenere lacrime di gioia sapendo che non uno o due, non cento o duecento, ma mille Budda verranno ad accoglierci con le braccia aperte» (L’eredità della Legge fondamentale della vita, RSND, 1, 189)

La metafora dei “mille Budda” si riferisce alla Buddità inerente sia alla nostra vita individuale sia alla vita cosmica: le persone che credono nella Legge mistica e recitano Nam-myoho-renge-kyo godranno di pace e serenità anche nella morte perché si sono armonizzate con la natura di Budda che permea la vita e l’universo.
Il presidente Ikeda scrive:

«Dal punto di vista dell’eternità della vita la nostra esistenza in questo mondo non è che un fatto passeggero. Perciò dovremmo apprezzare il tempo che abbiamo a disposizione e fare il massimo nella nostra vita. […] Il Daishonin ci esorta a basare la nostra esistenza sulla Legge. Quando ricerchiamo ardentemente il corretto insegnamento buddista senza lesinare la nostra vita, diventiamo una sola cosa con la Legge mistica e questo ci permette di percorrere il supremo sentiero della vita, quello del conseguimento della Buddità» (Il mondo del Gosho, Esperia, pag. 747)

BIBLIOGRAFIA
D. Ikeda, I misteri di nascita e morte pagg. 1-117
D. Ikeda, La vita mistero prezioso, Parte terza: “La vita e la morte”, pagg. 189-254
D. Ikeda, Il mondo del Gosho, capitolo “Le quattro sofferenze” pagg. 729-763
D. Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, vol. 1, “L’apparizione della Torre preziosa”, pag. 427
D. Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Vol. 2, “L’eternità della vita” pagg. 403-456

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