Riguardo all’inasprirsi dei conflitti, il presidente Ikeda sottolinea l’importanza di unirci attraverso le nostre differenze per stabilire un’opposizione chiara e universale di fronte all’intolleranza e alla violenza
Mentre la crisi ucraina si intensifica e nuvole scure incombono sul mondo, il 6 settembre si è tenuto a New York il “Forum di Alto livello delle Nazioni Unite sulla cultura della pace”. Costruire una cultura di pace è stato uno dei temi prioritari delle Nazioni Unite fin dal 2000, sulla base delle lezioni apprese dal secolo scorso, afflitto da guerre e violenze.
Considerando i conflitti armati ancora in corso in diverse parti del mondo, non c’è dubbio che la strada da percorrere sia lunga e tortuosa, ma dobbiamo compiere ulteriori sforzi per capovolgere la situazione. Se solo volgessimo lo sguardo alle condizioni delle persone colpite dal conflitto e lavorassimo insieme per eliminare le minacce, esistenti ed emergenti, alla pace, potremmo determinare una svolta.
Vorrei qui citare un episodio della vita del Budda Shakyamuni per illustrare l’importanza di tale prospettiva. Vivendo nell’antica India, si trovò spesso ad assistere a violenti scontri sulle risorse primarie. Quando due gruppi tribali, uno dei quali si ritiene fosse imparentato con la sua famiglia, entrarono in conflitto per l’acqua, invece di concentrarsi sulla loro identità o sul conflitto, Shakyamuni rivolse la sua attenzione alle condizioni reali in cui le persone di entrambe le parti stavano soffrendo a causa di una disperata carenza d’acqua, affermando che erano come pesci che si contorcevano in acque non abbastanza profonde.
Così identificò quella che considerava l’essenza del problema: «Ho percepito un’unica freccia invisibile che trafigge il cuore delle persone». Le loro menti erano offuscate e non riuscivano a rendersi conto che anche l’altro gruppo condivideva le stesse preoccupazioni per la mancanza d’acqua e la paura costante di essere attaccati e invasi.
Le tensioni riguardo alle risorse idriche probabilmente erano aumentate perché i membri di entrambi i gruppi si erano sentiti in dovere di proteggere la vita dei loro cari e della comunità. Tuttavia, se la mente delle persone in conflitto sono dominate dalla paura, non c’è molto che possa impedire il verificarsi della tragedia. Il Budda osservò: «Guardate coloro che combattono, pronti a uccidere. La paura nasce dal fatto di dover prendere le armi e prepararsi a colpire».
I conflitti di oggi, nella loro natura essenziale, sono gli stessi. È quindi fondamentale concentrare la nostra attenzione sulla difficile situazione di coloro che sono stati colpiti più gravemente da conflitti persistenti, e lavorare per cercare seriamente il modo di rimuovere la loro sofferenza.
Come molti hanno compreso attraverso l’esperienza personale della pandemia, il terribile dolore di perdere improvvisamente i propri cari è lo stesso in qualsiasi paese, e tali tragedie sono essenzialmente le stesse per tutte le persone.
L’economista indiano Amartya Sen fu uno dei principali sostenitori dell’idea che “la pluralità delle identità” può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare le persone a resistere al populismo e agli incitamenti alla violenza che provocano conflitti. Per aiutare la cultura della pace a radicarsi nel mondo, è necessario contrastare con pazienza ogni accenno di odio e di conflitto che possa insorgere.
In quanto esseri umani, siamo dotati degli strumenti necessari per condurre questa impresa: “il diapason” dell’autoriflessione per immaginare il dolore degli altri come se fosse il nostro; “il ponte” del dialogo attraverso il quale raggiungere chiunque, ovunque; e infine “la pala e la zappa” dell’amicizia con cui coltivare anche la più arida e inospitale delle lande desolate.
Anche se all’interno di un altro gruppo ci sono persone orientate all’intolleranza e alla violenza, la spirale dell’odio si intensifica solo quando consideriamo quell’intero gruppo come nostro nemico. Ciò che dobbiamo fare, invece, è unirci attraverso le nostre differenze per stabilire un’opposizione chiara e universale a tutti gli atti di intolleranza o violenza.
Mentre la crisi ucraina si intensifica e nuvole scure incombono sul mondo, il 6 settembre si è tenuto a New York il “Forum di Alto livello delle Nazioni Unite sulla cultura della pace”. Costruire una cultura di pace è stato uno dei temi prioritari delle Nazioni Unite fin dal 2000, sulla base delle lezioni apprese dal secolo scorso, afflitto da guerre e violenze.
Considerando i conflitti armati ancora in corso in diverse parti del mondo, non c’è dubbio che la strada da percorrere sia lunga e tortuosa, ma dobbiamo compiere ulteriori sforzi per capovolgere la situazione. Se solo volgessimo lo sguardo alle condizioni delle persone colpite dal conflitto e lavorassimo insieme per eliminare le minacce, esistenti ed emergenti, alla pace, potremmo determinare una svolta.
Vorrei qui citare un episodio della vita del Budda Shakyamuni per illustrare l’importanza di tale prospettiva. Vivendo nell’antica India, si trovò spesso ad assistere a violenti scontri sulle risorse primarie. Quando due gruppi tribali, uno dei quali si ritiene fosse imparentato con la sua famiglia, entrarono in conflitto per l’acqua, invece di concentrarsi sulla loro identità o sul conflitto, Shakyamuni rivolse la sua attenzione alle condizioni reali in cui le persone di entrambe le parti stavano soffrendo a causa di una disperata carenza d’acqua, affermando che erano come pesci che si contorcevano in acque non abbastanza profonde.
Così identificò quella che considerava l’essenza del problema: «Ho percepito un’unica freccia invisibile che trafigge il cuore delle persone». Le loro menti erano offuscate e non riuscivano a rendersi conto che anche l’altro gruppo condivideva le stesse preoccupazioni per la mancanza d’acqua e la paura costante di essere attaccati e invasi.
Le tensioni riguardo alle risorse idriche probabilmente erano aumentate perché i membri di entrambi i gruppi si erano sentiti in dovere di proteggere la vita dei loro cari e della comunità. Tuttavia, se la mente delle persone in conflitto sono dominate dalla paura, non c’è molto che possa impedire il verificarsi della tragedia. Il Budda osservò: «Guardate coloro che combattono, pronti a uccidere. La paura nasce dal fatto di dover prendere le armi e prepararsi a colpire».
I conflitti di oggi, nella loro natura essenziale, sono gli stessi. È quindi fondamentale concentrare la nostra attenzione sulla difficile situazione di coloro che sono stati colpiti più gravemente da conflitti persistenti, e lavorare per cercare seriamente il modo di rimuovere la loro sofferenza.
Come molti hanno compreso attraverso l’esperienza personale della pandemia, il terribile dolore di perdere improvvisamente i propri cari è lo stesso in qualsiasi paese, e tali tragedie sono essenzialmente le stesse per tutte le persone.
L’economista indiano Amartya Sen fu uno dei principali sostenitori dell’idea che “la pluralità delle identità” può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare le persone a resistere al populismo e agli incitamenti alla violenza che provocano conflitti. Per aiutare la cultura della pace a radicarsi nel mondo, è necessario contrastare con pazienza ogni accenno di odio e di conflitto che possa insorgere.
In quanto esseri umani, siamo dotati degli strumenti necessari per condurre questa impresa: “il diapason” dell’autoriflessione per immaginare il dolore degli altri come se fosse il nostro; “il ponte” del dialogo attraverso il quale raggiungere chiunque, ovunque; e infine “la pala e la zappa” dell’amicizia con cui coltivare anche la più arida e inospitale delle lande desolate.
Anche se all’interno di un altro gruppo ci sono persone orientate all’intolleranza e alla violenza, la spirale dell’odio si intensifica solo quando consideriamo quell’intero gruppo come nostro nemico. Ciò che dobbiamo fare, invece, è unirci attraverso le nostre differenze per stabilire un’opposizione chiara e universale a tutti gli atti di intolleranza o violenza.