Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che in questa data invita i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a promuovere attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle più gravi violazioni dei diritti umani.
Tutto risale al 25 novembre 1960, quando nella Repubblica Dominicana furono uccise tre sorelle attiviste per volere del dittatore al governo.
Diversi anni dopo, nel 1981, in occasione del primo incontro femminista svoltosi in Colombia, fu stabilito di celebrare il 25 novembre come la Giornata Internazionale della Violenza contro le Donne, in memoria delle sorelle Mirabal e non solo.
Nel 1993 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha poi approvato la Dichiarazione per l’eliminazione della violenza contro le donne ufficializzando la data scelta dalle attiviste latinoamericane.
Nel mondo la violenza contro le donne interessa una donna su tre; dai dati ISTAT emerge che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Le forme più gravi sono esercitate da partner, parenti o amici. Laddove le famiglie sono più a stretto contatto e trascorrono più tempo assieme, come avvenuto durante la pandemia, aumenta il rischio che le donne e i figli siano esposti alla violenza.
In occasione di questa giornata internazionale pubblichiamo nelle pagine seguenti un’intervista al presidente della Fondazione Pangea, che sviluppa progetti di carattere nazionale a sostegno dei diritti delle donne vittima di violenza e dei loro figli.
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Brano tratto da Amore e amicizia, di Daisaku Ikeda (Esperia, pag. 69)
«Nulla è più spregevole della violenza contro le donne. È una cosa assolutamente imperdonabile.
Voglio che tutti gli uomini lo ricordino. […] Posso solo immaginare l’incredibile angoscia fisica e mentale che devono provare le donne vittime di violenze sessuali. A chi ha attraversato questa dolorosissima esperienza voglio dire: benché abbiate perso la fiducia negli altri o vi sentiate annientate, ricordatevi per favore che nessuno può distruggere ciò che siete. Per quanto crudelmente siate state ferite, voi restate immacolate come la neve appena caduta. […] Nulla e nessuno potrà mai offuscare il vostro intrinseco valore. Vi chiedo di avere coraggio, di dire a voi stesse che non permetterete che questa terribile prova vi sconfigga.
Chi ha sofferto di più, chi ha sperimentato la tristezza più grande ha il diritto di diventare la persona più felice. […] Il Daishonin afferma che recitare Nam-myoho-renge-kyo significa entrare nel palazzo della propria vita. Il maestoso palazzo della nostra vita non è nient’altro che lo stato vitale del Budda. Neanche la bomba atomica può distruggere questo palazzo interiore. Per favore, utilizzate le esperienze dolorose per aprire questo palazzo di felicità all’interno della vostra vita».
Tutto risale al 25 novembre 1960, quando nella Repubblica Dominicana furono uccise tre sorelle attiviste per volere del dittatore al governo.
Diversi anni dopo, nel 1981, in occasione del primo incontro femminista svoltosi in Colombia, fu stabilito di celebrare il 25 novembre come la Giornata Internazionale della Violenza contro le Donne, in memoria delle sorelle Mirabal e non solo.
Nel 1993 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha poi approvato la Dichiarazione per l’eliminazione della violenza contro le donne ufficializzando la data scelta dalle attiviste latinoamericane.
Nel mondo la violenza contro le donne interessa una donna su tre; dai dati ISTAT emerge che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Le forme più gravi sono esercitate da partner, parenti o amici. Laddove le famiglie sono più a stretto contatto e trascorrono più tempo assieme, come avvenuto durante la pandemia, aumenta il rischio che le donne e i figli siano esposti alla violenza.
In occasione di questa giornata internazionale pubblichiamo nelle pagine seguenti un’intervista al presidente della Fondazione Pangea, che sviluppa progetti di carattere nazionale a sostegno dei diritti delle donne vittima di violenza e dei loro figli.
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Brano tratto da Amore e amicizia, di Daisaku Ikeda (Esperia, pag. 69)
«Nulla è più spregevole della violenza contro le donne. È una cosa assolutamente imperdonabile.
Voglio che tutti gli uomini lo ricordino. […] Posso solo immaginare l’incredibile angoscia fisica e mentale che devono provare le donne vittime di violenze sessuali. A chi ha attraversato questa dolorosissima esperienza voglio dire: benché abbiate perso la fiducia negli altri o vi sentiate annientate, ricordatevi per favore che nessuno può distruggere ciò che siete. Per quanto crudelmente siate state ferite, voi restate immacolate come la neve appena caduta. […] Nulla e nessuno potrà mai offuscare il vostro intrinseco valore. Vi chiedo di avere coraggio, di dire a voi stesse che non permetterete che questa terribile prova vi sconfigga.
Chi ha sofferto di più, chi ha sperimentato la tristezza più grande ha il diritto di diventare la persona più felice. […] Il Daishonin afferma che recitare Nam-myoho-renge-kyo significa entrare nel palazzo della propria vita. Il maestoso palazzo della nostra vita non è nient’altro che lo stato vitale del Budda. Neanche la bomba atomica può distruggere questo palazzo interiore. Per favore, utilizzate le esperienze dolorose per aprire questo palazzo di felicità all’interno della vostra vita».